02-01-2021, 12:37
Cino Ricci: “La nuova America’s Cup? Preferisco la MotoGp”
Lo skipper di Azzurra. “Gli Ac75 sono macchine prodigiose, ma più vicini agli alianti. Non mi divertono molto, perché non vedo l’equipaggio e l’arte della vela. Ma ciascuno vive il proprio tempo”
Cino Ricci
Cino Ricci
FABIO POZZO
Pubblicato il
31 Dicembre 2020
Ultima modifica
31 Dicembre 2020 15:12
“Non mi permetto di dire che non va bene, perché ognuno vive nel proprio tempo e il tempo della vela oggi è questo. Nemmeno mi permetto di sminuire chi c’è è sopra e tutti i tecnici e progettisti che hanno sviluppato queste barche: li ammiro. Io sono per il progresso, per alzare l’asticella e l’America’s Cup deve fare questo nella vela. Tutte le volte deve andare avanti e dev’essere futuristica, insomma fuori dalla grazia di Dio. Dunque, dimentichiamo le vecchie America’s Cup, questa è quella di questo tempo e indietro non si torna. Ma l’arte della vela è un’altra cosa, è quella che impariamo da bambini sugli Optimist”.
Cino Ricci, lo skipper di Azzurra, il padre dell’America’s Cup italiana, commenta a freddo l’avvio della 36a edizione del trofeo dei trofei della vela. Ha fatto passare un po’ di giorni dalle World Series di Auckland, le prime regate degli Ac75, i monoscafi volanti che faranno sul serio da metà gennaio – almeno, per gli sfidanti – da metà gennaio con la Prada Cup. Ha atteso un po’ di giorni per “digerire” le immagini e rispondere alla domanda che in fondo si sono posti tutti: che ne pensi?
Dunque, l’America’s Cup ha alzato ancora l’asticella alzata, svolgendo a detta di Cino il suo compito, quello di innovare, di osare, non essere una competizione unica, diversa da tutte le altre. “Esclusiva, che deve stupire, strabiliare. Sì, ma così però è troppo. Tempo fa c’era la Piccola America’s Cup, che era un evento secondario, in cui si sfidavano barche speciali, sperimentali. Ecco, quello che ho visto in tv mi ha ricordato un po’ la Piccola America’s Cup. Ora, se è Piccola America’s Cup allora mi sta bene, se è la vera America’s Cup un po’ meno”.
Il discorso prosegue. “Io non mi sono divertito granché a seguire le regate. Perché? Perché mi è mancato l’equipaggio, mi è mancata la vela per come la intendo io, che è un’arte legata alle vele”. Sugli Ac75 è come salire su un bob e gettarti nel budello di gara. Le barche si lanciano in un rettangolo di gara molto stretto e devono cercare di andare più veloce possibile, stando sui foil, cercando le raffiche. L’uomo conta ancora, come sempre, come del resto anche nel bob, ma a me personalmente, che ho fatto un altro tipo di vela, mi mancano le azioni corali e le scelte a cui sono rimasto legato. Non vedo cambiare le vele, non vedo gli uomini che si muovono insieme a bordo per eseguire le intuizioni del tattico e del timoniere, non vedo insomma l’arte della vela. Che per me significa sfruttare il vento a seconda delle sue variazioni e delle vele che ho a disposizione”.
Qualcuno ha detto che mancano le coperture tra i due avversari. “No, io le ho viste, anche se poche. Ma quello è il gioco della regata. Per me l’arte della vela è un’altra cosa, è l’uso delle vele. Già il fatto di non poterle cambiare durante la regata è una limitazione rispetto a quanto intendo io. E poi che può fare il tailer col fiocco? M’immagino che con quella velocità non può che cazzare il più possibile, ma certo mi viene difficile pensare che possa regolare e fare gli aggiustamenti per fare andare ancora più veloce la barca come si faceva un tempo con scotta e coffie grinder”.
Lo skipper di Azzurra parla di lotta, che gli viene a mancare. “Per una regata di 25 minuti c’è un solo momento di lotta e il più delle volte è la partenza: se parti prima e non fai più errori, non cadi nei buchi di vento, hai vinto perché più o meno le velocità sono simili, o almeno penso lo saranno alla Prada Cup. Perché i team durante le World Series hanno avuto il tempo di provare, magari profittando anche dei grandi vantaggi o dei grandi svantaggi e camuffando le prestazioni per non far capire agli altri che cosa stavano facendo. Ma allora, velocità per velocità, allora mi diverto di più con la MotoGp o la Formula 1. Lì vedo più lotta tra uomini oltre che tra macchine”.
Ecco, le partenze. Non si può dire che la lotta non ci sia, durante il circling. Ma non si può dire nemmeno che non ci sia tattica. Lo si è visto con il duello Luna Rossa vs Team New Zealand, ad esempio. “Ho visto dei momenti di tattica nella partenza, vero. Ma è roba di secondi. Purtroppo io ho corso con un elefante contro altri elefanti, i 12 Metri come Azzurra, mentre ora corrono su mostri a cui faccio fatica a stare dietro…”.
Soffermiamoci ancora sugli Ac75. “E’ sicuramente una macchina prodigiosa. Ma assomiglia di più a un aliante. Mi manca, ripeto, lo spettacolo sotto il profilo della scienza e dell’arte della vela. Almeno, della mia vela, di quella che intendo io
Una delle armi di questi nuovi monoscafi volanti sono i foil, che li alzano dall’acqua e consentono ai team di lanciarli a velocità impressionanti, oltre i 50 nodi. Sono tre paia, a disposizione per ciascuna squadra. Si scelgono prima di ogni blocco di regate e poi quelli devono restare. “Ma non sarebbe meglio lasciare che i team decidano i foil il giorno prima o comunque in tempi utili? Immagino che ci siano ragioni tecniche che lo impediscano, però è un peccato perché la scelta aggiungerebbe una componente in più alla sfida, tipo le gomme in F1. Nella vela tradizionale se tu metti su una randa numero 3, pesante, con aria leggera, perdi la prima regata però poi se le condizioni restano quelle la tiri giù e la cambi con una più leggera. Qui, invece, ti tieni il foil che hai scelto fino alla fine del blocco di regate...”.
Segue una domanda scontata: Cino Ricci è contro i foil? “Ma noo. I foil sono un di più, un turbo che accendi quando lo puoi adoperare. Prendiamo il Vendée Globe, il giro del mondo in solitaria: ci sono barche con i foil, no? Però quando c’è troppo mare o poco vento lo skipper decide se usarli o no, ma a questo punto se non li usa la barca va comunque e va orte e lui è il padrone della barca, sulla quale decide come e quando regolare e cambiare le vele. Lì, è ancora arte della vela”.
Lo skipper di Azzurra. “Gli Ac75 sono macchine prodigiose, ma più vicini agli alianti. Non mi divertono molto, perché non vedo l’equipaggio e l’arte della vela. Ma ciascuno vive il proprio tempo”
Cino Ricci
Cino Ricci
FABIO POZZO
Pubblicato il
31 Dicembre 2020
Ultima modifica
31 Dicembre 2020 15:12
“Non mi permetto di dire che non va bene, perché ognuno vive nel proprio tempo e il tempo della vela oggi è questo. Nemmeno mi permetto di sminuire chi c’è è sopra e tutti i tecnici e progettisti che hanno sviluppato queste barche: li ammiro. Io sono per il progresso, per alzare l’asticella e l’America’s Cup deve fare questo nella vela. Tutte le volte deve andare avanti e dev’essere futuristica, insomma fuori dalla grazia di Dio. Dunque, dimentichiamo le vecchie America’s Cup, questa è quella di questo tempo e indietro non si torna. Ma l’arte della vela è un’altra cosa, è quella che impariamo da bambini sugli Optimist”.
Cino Ricci, lo skipper di Azzurra, il padre dell’America’s Cup italiana, commenta a freddo l’avvio della 36a edizione del trofeo dei trofei della vela. Ha fatto passare un po’ di giorni dalle World Series di Auckland, le prime regate degli Ac75, i monoscafi volanti che faranno sul serio da metà gennaio – almeno, per gli sfidanti – da metà gennaio con la Prada Cup. Ha atteso un po’ di giorni per “digerire” le immagini e rispondere alla domanda che in fondo si sono posti tutti: che ne pensi?
Dunque, l’America’s Cup ha alzato ancora l’asticella alzata, svolgendo a detta di Cino il suo compito, quello di innovare, di osare, non essere una competizione unica, diversa da tutte le altre. “Esclusiva, che deve stupire, strabiliare. Sì, ma così però è troppo. Tempo fa c’era la Piccola America’s Cup, che era un evento secondario, in cui si sfidavano barche speciali, sperimentali. Ecco, quello che ho visto in tv mi ha ricordato un po’ la Piccola America’s Cup. Ora, se è Piccola America’s Cup allora mi sta bene, se è la vera America’s Cup un po’ meno”.
Il discorso prosegue. “Io non mi sono divertito granché a seguire le regate. Perché? Perché mi è mancato l’equipaggio, mi è mancata la vela per come la intendo io, che è un’arte legata alle vele”. Sugli Ac75 è come salire su un bob e gettarti nel budello di gara. Le barche si lanciano in un rettangolo di gara molto stretto e devono cercare di andare più veloce possibile, stando sui foil, cercando le raffiche. L’uomo conta ancora, come sempre, come del resto anche nel bob, ma a me personalmente, che ho fatto un altro tipo di vela, mi mancano le azioni corali e le scelte a cui sono rimasto legato. Non vedo cambiare le vele, non vedo gli uomini che si muovono insieme a bordo per eseguire le intuizioni del tattico e del timoniere, non vedo insomma l’arte della vela. Che per me significa sfruttare il vento a seconda delle sue variazioni e delle vele che ho a disposizione”.
Qualcuno ha detto che mancano le coperture tra i due avversari. “No, io le ho viste, anche se poche. Ma quello è il gioco della regata. Per me l’arte della vela è un’altra cosa, è l’uso delle vele. Già il fatto di non poterle cambiare durante la regata è una limitazione rispetto a quanto intendo io. E poi che può fare il tailer col fiocco? M’immagino che con quella velocità non può che cazzare il più possibile, ma certo mi viene difficile pensare che possa regolare e fare gli aggiustamenti per fare andare ancora più veloce la barca come si faceva un tempo con scotta e coffie grinder”.
Lo skipper di Azzurra parla di lotta, che gli viene a mancare. “Per una regata di 25 minuti c’è un solo momento di lotta e il più delle volte è la partenza: se parti prima e non fai più errori, non cadi nei buchi di vento, hai vinto perché più o meno le velocità sono simili, o almeno penso lo saranno alla Prada Cup. Perché i team durante le World Series hanno avuto il tempo di provare, magari profittando anche dei grandi vantaggi o dei grandi svantaggi e camuffando le prestazioni per non far capire agli altri che cosa stavano facendo. Ma allora, velocità per velocità, allora mi diverto di più con la MotoGp o la Formula 1. Lì vedo più lotta tra uomini oltre che tra macchine”.
Ecco, le partenze. Non si può dire che la lotta non ci sia, durante il circling. Ma non si può dire nemmeno che non ci sia tattica. Lo si è visto con il duello Luna Rossa vs Team New Zealand, ad esempio. “Ho visto dei momenti di tattica nella partenza, vero. Ma è roba di secondi. Purtroppo io ho corso con un elefante contro altri elefanti, i 12 Metri come Azzurra, mentre ora corrono su mostri a cui faccio fatica a stare dietro…”.
Soffermiamoci ancora sugli Ac75. “E’ sicuramente una macchina prodigiosa. Ma assomiglia di più a un aliante. Mi manca, ripeto, lo spettacolo sotto il profilo della scienza e dell’arte della vela. Almeno, della mia vela, di quella che intendo io
Una delle armi di questi nuovi monoscafi volanti sono i foil, che li alzano dall’acqua e consentono ai team di lanciarli a velocità impressionanti, oltre i 50 nodi. Sono tre paia, a disposizione per ciascuna squadra. Si scelgono prima di ogni blocco di regate e poi quelli devono restare. “Ma non sarebbe meglio lasciare che i team decidano i foil il giorno prima o comunque in tempi utili? Immagino che ci siano ragioni tecniche che lo impediscano, però è un peccato perché la scelta aggiungerebbe una componente in più alla sfida, tipo le gomme in F1. Nella vela tradizionale se tu metti su una randa numero 3, pesante, con aria leggera, perdi la prima regata però poi se le condizioni restano quelle la tiri giù e la cambi con una più leggera. Qui, invece, ti tieni il foil che hai scelto fino alla fine del blocco di regate...”.
Segue una domanda scontata: Cino Ricci è contro i foil? “Ma noo. I foil sono un di più, un turbo che accendi quando lo puoi adoperare. Prendiamo il Vendée Globe, il giro del mondo in solitaria: ci sono barche con i foil, no? Però quando c’è troppo mare o poco vento lo skipper decide se usarli o no, ma a questo punto se non li usa la barca va comunque e va orte e lui è il padrone della barca, sulla quale decide come e quando regolare e cambiare le vele. Lì, è ancora arte della vela”.