(02-05-2022 09:04)albert Ha scritto: [ -> ]Caro ing. Lupo Grigio
La drizza randa oltre al peso della vela (che posso considerare ininfluente, perché di certo oltre la terza cifra significativa per il superamento del carico di rottura della drizza, e quindi, in prima battuta, non ne tengo conto) regge il carico della scotta che si trasmette alla penna e dunque alla drizza attraverso la balumina (e fin qui non ci piove, e più ho il boma cazzato al centro, più la componente di carico verticale aumenta il cimento sulla drizza; più ho il boma lascato, meno tale cimento ha rilevanza. A randa sventata, il cimento aggiuntivo sulla drizza generato dalla scotta è nullo, d'accordo?).
In parole "povere" il momento raddrizzante incide sul carico perchè se la barca sbanda o se per non farla sbandare si lasca la randa, il carico sulla scotta e dunque sulla drizza si riduce (appunto: si "riduce", non aumenta di certo: fin qui, credo nessuno possa avere dubbi. Quando un monoscafo sbanda, la randa "scarica" di per se parte della spinta complessiva che viene contrastata dal paranco della scotta; al limite, se il monoscafo si sdraia sull'acqua come conseguenza di una raffica, l'effetto di incremento del carico sulla drizza va a zero perché finisce la tensione indotta dal paranco di scotta, non appena si ricade nel caso detto sopra, con randa che sbatacchia e paranco di scotta in bando), se non sbanda e non si lasca la scotta, il carico sulla drizza aumenta fino a far esplodere qualcosa ... (sui catamarani ci sono le tabelle per la riduzione delle vele in base all'intensità del vento perchè non ci si può basare sullo sbandamento).
(Anche qui, nessuna obiezione: non avendo il "segnale" evidente dello sbandamento del monoscafo, si rischia sul catamarano "pesante" di indurre carichi molto rapidamente crescenti, richiamando col paranco di scotta il boma a centro barca, a seconda dell'andatura. Tutto giusto. Ma non è il "momento raddrizzante" che aumenta il carico: ciò che genera il rischio, per la drizza, è il carico sul paranco di scotta, e solo per la componente verticale, perché quella orizzontale contribuisce a contrastare, insieme all'inferitura sull'albero, unicamente la spinta del vento sulla vela. Il fatto che il catamarano "pesante" non sbanda, non alzando lo scafo sopravvento, maschera il problema e può indurre in errore. Quindi, ben vengano le tabelle di riduzione tela vs vento apparente).
Ma ZK aveva scritto: "il carico sulle drizze dipende da due fattori, il momento di raddrizzamento (che a sua volta specie per i cat dipende molto dal carico) e dalla superficie della vela.
per capirsi: con tre mani il carico sulla drizza e' molto, molto piu alto che a tutta tela."
... e qui è il nodo che mi perplime: il momento di raddrizzamento ha un effetto solo per il "mascheramento" della condizione di cimento che si sta creando. Ciò che può mettere in crisi la drizza ed avviarla verso il pericoloso limite di rottura, è l'azione del paranco di scotta, unita al precarico che do quando isso a segno la randa (che è invariante, dopo che ho compiuto l'operazione). Se non tocco alcuna regolazione, per fare un esempio, e procedo con una certa andatura stabile rispetto al vento, ed il vento aumenta ed aumenta, la componente verticale del cimento del paranco di scotta aumenta di continuo (insieme al vento), perché aumenta la spinta totale sulla vela: se la barca non sbanda alzando lo scafo sopravvento, non avviene nessuno "scarico" spontaneo del "sistema".
Come fa il momento di raddrizzamento (che è solo un fattore di mascheramento) a generare carico sulla drizza?
Resta infine la faccenda delle mani di terzaroli: qui, per me, buio pesto. Leggere che "con tre mani di terzaroli il carico sulla drizza è molto più alto che a tutta tela" non riesco a vedere a quale fenomenologia ci si riferisca: se prendo le mani di terzaroli, è certo che sollecito la drizza con una sorta di precarico dovuto alle borose (i matafioni, se esistono, entrano in gioco solo al momento in cui aumenta il vento e vanno in forza, ma non sono loro che "tirano", è il vento che stende la tela) ed è certo che con vento forte il precarico della drizza è un po' maggiore, ma il cimento deriverà comunque dalla componente verticale del paranco di scotta, e quindi dal vento in se, che però svolgerà la sua azione su un elemento di superficie minore (se ho ridotto la tela ...), andando così a compensare parzialmente il precarico maggiorato dovuto alla terzarolata.
Non scordiamo che per prendere le mani di terzaroli, prima ammaino la randa (e dunque scarico completamente il precarico iniziale): quando, messe a segno le borose, riporto in tensione la drizza, ripristino il precarico (con la maggiorazione suddetta, quel che serve ad annullare ogni idea di piega orizzontale sulla vela, senza iniziare a creare pieghe verticali vicino all'inferitura, a meno che la vela non sia ormai "andata" e spanciata, e lì l'unica che mi è rimasta è quella di cercare di correggere, eventualmente, lavorando sul punto di mura).
Insomma, mi pare che la descrizione complessiva del fenomeno sia diversa, nel vostro convincimento, rispetto a come la rappresento io qui, e continuo a non comprendere bene.
Ma sono lieto se vorrete,
ZK e
albert, approfondire.