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Versione completa: trattamento anti osmosi
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Ecco ciò che io ho chiamato “relazione di navigazione fra resine, pitture ed altro”.
Il tutto di per se, non è nulla di eclatante ma è stata una mia avventura non senza perigli, avvenuta esattamente 10 anni fa, che potrà essere di qualche aiuto se qualcuno avesse l’intenzione di ripeterla. Peraltro, visto oramai il tempo trascorso, potrebbero essere sorte nuove tecnologie e nuovi metodi, ma modestamente non mi risultano e, se fosse vero il contrario, mi piacerebbe saperlo.
Il tutto nasce durante navigazioni con cattivo tempo quando l’acqua del cielo si congiunge a quella del mare fondendosi in coperta e dopo, piano, ci si abitua al vento, alle onde, al movimento della barca e all’acqua, cosi da raggiungere uno stato di quasi-sicurezza, di allerta semi-ipnotica, forse momentanea stanchezza, e si pensa. Si pensa a varie cose, fra le tante osservando l’acqua che scorre in coperta, ho pensato spesso che la vetroresina con la quale è costruita la mia “AL NA’ IR IVa” un Caipirinha del 1980, non fosse, come si è detto e/o pensato fino a non molto tempo fa, così impermeabile e, a quanto poco ci curiamo dell’opera viva solo perché non la si vede.
Così, dovendo sostituire il vecchio entrobordo da 13,5 HP che dopo vent’anni di anzianità aveva reso l’anima, con uno nuovo che ha richiesto la sostituzione di una nuova elica di diametro maggiore con conseguente allargamento del pozzo della stessa intervenendo, scavando un poco, nello skeg; e, volendo controllare anche un certo lasco del timone e la sua ferramenta, inoltre eliminare una piccola infiltrazione nella parte inferiore del bulbo (che è un’unica stampata con lo scafo), non che controllare le zone di nuova vtr che avevo applicato quando ho sostituito gli scarichi e le prese a mare, mi è venuta spontanea l’idea che, sommando i pensieri di navigazione con quelli pratico-esistenziali, la mia barca di vent’anni, io di cinquanta con ancora voglia di fare, mi sono convinto che fosse arrivata l’ora di mettere seriamente mano a lavori di prevenzione, consolidamento, impermeabilizzazione e re-fitting come si usa dire, per non pensarci più ?!. Anche perché pensavo, fra quindici-vent’anni, considerando che le probabilità sono più a sfavore che viceversa, potrei ben che vada, essere seduto alla finestra di casa mia a veder passare le barche a vela che vanno verso il mare.
A onor del vero e del lavoro dell’ex cantiere Gilardoni, và detto che l’opera viva della mia barca non presentava nessun segno di osmosi.
Decidere di perdere un anno e più di barca non è stato semplice, ma tant’è che per i fattori di cui sopra fra loro intrinsechi, sia sotto l’aspetto pratico che sotto quello riflessivo e, volendo sentire ancora in primavera il profumo delle “gasie” in fiore al rientro dalle dighe del porto di Lido e, non ultimo l’incoraggiamento di Rosanna mia moglie, ho alato la barca ed iniziato i lavori che descriverò e quelli conseguenti.
Devo premettere che fortunatamente ho potuto lavorare risparmiando non poco sia sulla mano d’opera, ho fatto tutto io; sia sul noleggio di invaso, che è mio; sia sull’affitto del posto ove ho tenuto la barca sia allo scoperto e poi al coperto, in quanto sono spazi dell’area che il Diporto Velico Veneziano a Venezia, del quale io sono socio, ha in concessione comunale. Ed inoltre, cosa di non poco conto, tutto il tempo necessario per lavorare senza limiti, all’interno delle strutture stesse. Unico neo, siamo a Venezia pertanto la barca non si può raggiungere che in barca o a piedi. Del raggiungerla in macchina parcheggiandole vicino per questioni di comodità pratica, scarico materiali, attrezzature, ecc., neanche parlarne. Ma questo è un altro discorso.
Allora, visto che “non mi faccio mancare nulla”, e già che ci sono, ho deciso anche di verificare lo stato della coperta ad anche l’opera morta poi pitturando il tutto.
Pertanto, disarmo con smontaggio del sartiame che ho sostituito con uno nuovo completo di arridatoi fatto fare da una grossa ditta nell’area di Padova, specializzata nel settore e con macchinari e presse tecnicamente avanzate; in quanto quello vecchio aveva vent’anni d’età e delle navigazioni anche tirate sul groppone, non ultima l’andata e ritorno dalla Grecia fatta in solitario dal precedente armatore il quale l’aveva sottoposta a sforzi.
Inoltre, i testi “sacri” ne consigliano la sostituzione dopo 15 – 20 anni di normali navigazioni mentre per chi naviga a lungo e impegnativamente e/o d’altura, dopo 10 anni e anche meno.
Credo che molti ne siano al corrente, ma è bene ripeterlo: particolare attenzione alla stanchezza del materiale dell’armo deve porre chi ormeggia in zone ove vi è sovente forte risacca con conseguente rollio.
La differenza dal precedente armo sta solo nella maggiorazione, per mia sicurezza, dei diametri di tutti i cavi usati.
Ho sostituito sempre per sicurezza, anche i perni del sartiame a testa d’albero.
Inoltre sostituzione di parte delle manovre correnti.
Controllo dell’estruso, delle crocette e del boma.
Revisione, sostituzione dei rivetti e ri-applicazione degli scalini all’albero.
Smontaggio del piede e della scassa con discatura e trattamento anticorrosivo a quest’ultimi che, solo per il piede, presentava sul punto di contatto con la scassa, alcuni piccoli segni di corrosione.
E, visto che c’ero e approfittando del forte spessore del piede dell’albero, ho limato un poco la parte inferiore poggiante alla scassa dando un’inclinazione maggiore all’albero verso poppa, cosa che mi trova d’accordo e che ho eseguito ben volentieri quando, parlando con l’architetto Davide Castiglioni fra le altre cose mi consigliava di fare.
Ovviamente controllo fanaleria, antenna vhf, anemometro e cavi elettrici.

Torniamo al lavoro principe:
L’asporto del notevole spessore di strati di vecchie antivegetative, l’ho iniziato i primissimi giorni del mese di aprile. Da prima a mezzo fiamma, poi con la pistola termica con ottimi risultati ma, con i dubbi e le paure evidenziate e risolte (vedi mia lettera a Bolina del n. 179 del 9/2001 a pag.5), poi con sverniciatore ad acqua allora della Veneziani che mi è sembrato ottimo sia nell’applicazione che nei risultati, rispetto ad altri più puzzolenti e forse più tossici.
L’asporto a mezzo raschietto della Stanley, a mano a mano che procedeva, diveniva sempre più difficoltoso sia per i dolori ai muscoli delle spalle a causa delle posture, sia perché asportato lo spessore principale, vi erano strati sottili di antivegetativa e un primer molto ben ancorato al gelcoat per un buon 50-60% della superficie dell’opera viva, con lo sverniciatore che si impastava a mò di crema, alla lama del raschietto, che se non pulita di volta in volta, la ristendeva ai lati in quanto per effetto della rotondità della carena, solo una piccola porzione della lama stessa lavorava raschiando, senza contare tutte le volte che mi sono dovuto recare in officina alla mola per affilarla.
Consigliato dal produttore ed essendo il prodotto a base di soda, procedevo sovente al lavaggio con abbondante acqua dolce corrente della parte trattata asportando a mezzo spugna abrasiva le eccedenze cremose di cui sopra.
Dopo 5 giorni di duro lavoro, arrivando in barca sempre alle 07.30 e rimanendovi sino alle 18.00, sono arrivato al gelcoat, che è stato cartavetrato ma non asportato con l’orbitale, operazione che è stata compiuta in massima parte da mio figlio Jacopo probabilmente impietositosi rinunciando a delle uscite con la sua piccola barca a vela .
Oltre all’asporto dell’antivegetativa, eseguivo soventi lavaggi con acqua corrente per iniziare ad eliminare i sali risultato dell’essicazione/evaporazione dell’opera viva.

Smontaggio del timone e della sua ferramenta
Ho asportato lo stucco che ricopriva la ferramenta dell’agugliotto, smontaggio di quest’ultimo dallo skeg, trovate le piastre in acciaio inox solo pochissimo corrose come pure le sedi di alloggio delle teste dei perni di fissaggio, per contro le saldature si presentavano ancora in ottimo stato. Il tutto l’ho discato e trattato con primer anti-corrosivo e resinato.
Per evitare e/o ritardare la corrosione dovuta alle correnti galvaniche, ho imbullonato, forando la ferramenta stessa, una barra filettata inox la quale uscendo esternamente dal calcagnolo dello skeg mi ha permesso di fissare due dischi sacrificali di zinco che lavorano perché ogni 2 anni sono da sostituire.
Ho controllato l’asse che ho trovato in linea, senza corrosioni e non usurato, inoltre anche lo stato della losca che mi è sembrato a posto.
La pala, una volta asportata l’antivegetativa portandola a gelcoat come l’opera viva, presentava una corta fessurazione sia all’altezza dell’entrata dell’asse sia all’altezza della femminella dell’agugliotto, peraltro larghe 1 mm e profonde 2 mm circa, dovute certamente allo sforzo esercitato dalla pala e scaricato nei due punti terminali della stessa.
Tale sforzo agendo sull’entrata dell’asse ha sicuramente fatto penetrare acqua all’interno della pala.
Sono certo di aver risolto quest’ultimo problema allargando gli spazi di questa entrata e immettendo acqua corrente all’interno, sciacquando e “sceccherando” tenendo il timone in bilancia, per ben più di 50 volte. Dopo l’ho lasciato all’aperto capovolto per due mesi posizionandolo in modo tale che il sole lo avesse sempre da scaldare/asciugare da ambo i lati.
Una volta asciutto, ho iniettato resina sino al totale riempimento degli spazi interni, In questa maniera ho colato un quantitativo di circa ¾ di litro tanto era all’incirca il quantitativo di acqua che riuscivo a far entrare per i lavaggi. Come pure ho resinato stuccando le fessure dell’entrata della pala e successivamente applicato resinandola, una fascia di biassiale fino a che faccia corpo unico e non permetta alle fessure di riaprirsi.
Asciugatura e trattamento anti-osmosi e impermeabilizzazione dell’opera viva:
a seguito delle telefonate avute con il sig. Gustavo Cecchi, prolisso e paziente viareggino com-merciante della resina epossidica C-System, circa il trattamento che ho in seguito applicato, lo stesso molto disponibile, mi fece avere in prestito tramite il suo locale rivenditore, una lampada al quarzo e a raggi infrarossi la quale mi aiutò non poco nella fase di asciugatura della carena della barca che nel frattempo avevo trasferito sotto un capannone per poter proseguire con altri lavori in contemporanea.
La barca l’avevo puntellata svasandola, onde poter trattare per prime le aree di appoggio delle tacche dell’invasatura.
Ho asportato tutto lo stucco portando a nudo il metallo della staffa reggi-asse dell’elica, controllando lo stato del bronzo e delle viti di fissaggio allo scafo, che ho trovato tutto in ottime condizioni e le viterie ben serrate.
Ho passato a vista minuziosamente tutta la giuntura di attacco delle due scocche dello scafo ed ho asportato quelle porzioni di stucco che non aderivano più o che aderivano male; l’ho lavata varie volte sempre con acqua corrente per asportare eventuali residui di stucco e di sale.
Ho poi resinato e stuccato con resina e microsfere e successivamente applicato resinandola, una fascia in tessuto di fibra di vetro sempre del tipo biassiale per tutta la lunghezza in senso longitudinale, escluso l’ampliamento del pozzo dell’elica al quale ho applicato trasversalmente varie strisce dello stesso tessuto sormontandole l’una all’altra a 45°.
Il trattamento di cui sopra l’ho riservato anche all’uscita di poppa dello skeg ove vi è il profilo dell’entrata della pala del timone.
Ho rinforzato le aree che avevo ricostruito 6 anni prima, sostituendo le prese e gli scarichi a mare, in
quanto corrose e annegate nello spessore della carena, applicando delle strisce di tessuto e sovrapponendole sempre per 45°.
Il tessuto biassiale per sua caratteristica, ha un certo spessore, pertanto per quanto poco, dopo averlo resinato crea sempre uno dislivello con il resto della superficie, che ho livellato con resina e microsfere.
Stesso minuzioso controllo è stato riservato a tutta la superficie dell’opera viva alla ricerca di minuscole crepe di indebolimento del manufatto, pochissime fra l’altro, che ho scalfito, sciacquato più volte, asciugato, resinato e successivamente stuccato sempre con resina e microsfere.
Il bulbo, come comunemente inteso, che tale non è, per la mia barca perché un raccordarsi dolce fra le linee di prora e falsa chiglia, sino alla sua uscita di poppa compreso lo skeg; , presentava negli anni a barca alata, delle insignificanti colature di acqua nella sua parte inferiore probabilmente dovute a precedenti toccate del fondale, acqua che era probabilmente entrata dalla fessura inferiore della giunzione delle scocche dello scafo.
Cosi dopo aver localizzato le poche e piccole zone che suonavano vuote all’interno del bulbo stesso, create fra i blocchi sagomati di piombo e resinati e lo stampo, ho praticato dei fori ed ho iniziato un’operazione di lavaggio metodico a mezzo acqua corrente e con asciugatura a mezzo aria compressa, pompata nel serbatoio in una giornata secca, e aria calda. Una volta certo della perfetta asciugatura, ho iniettato un misto di resina e pasta di cellulosa sino a riempire a tappo.
Per controllare il procedere dell’asciugatura quando già in periodo primaverile, a mezzo della succitata lampada che spostavo di tanto in tanto in maniera programmata, ho usato un tester elettronico a batterie che può essere anche noleggiato. Comunque è meglio usare sempre il medesimo strumento.
Per una corretta misurazione nel tempo, è necessario che vengano segnati i vari punti di misurazione su entrambi i lati della carena, numerandoli e disegnando il profilo dello strumento sin dalla prima misurazione affinchè le successive abbiano un riscontro esatto. E’ necessario altresì che i due poli di contatto con la carena vengano appoggiati contemporaneamente e che la pressione di appoggio sia esercitata sempre in maniera uguale.
Ho tracciato 50 punti di lettura per lato ed è ovvio che per seguire i vari progressi di asciugatura, si dovrà di volta in volta prender nota dei valori letti tenendo conto anche dell’umidità relativa dell’aria e, se all’esterno, anche del punto di rugiada.
Và detto inoltre che emettendo lo strumento degli impulsi elettrici i quali in pratica vanno a rilevare
l’elettricità presente nei liquidi, la superficie dello scafo dovrà essere oltre che pulita, anche asciutta malgrado i vari risciacqui. Lo strumento risulta sensibile anche ai metalli che ne sfalsano i valori, esso è solitamente dotato di tre scale di lettura e una di queste è specificatamente adatta per i manufatti in fibra di vetro, le altre per legno a contatto con acqua dolce e di mare.
Personalmente per seguire il processo di asciugatura, ho tracciato su carta un profilo longitudinale della carena segnando i vari punti in corrispondenza o nelle immediate vicinanze dei quali si trovavano delle aree interessate a masse metalliche quali motore, ancore, la spera, il salmone, catene, batterie, attrezzi, utensili o a residui d’acqua tipo pompe.
Durante l’asciugatura, prima in maniera naturale che è durata in totale circa tre mesi, poi per 15 giorni con la suddetta lampada, con barca completamente aperta in modo che girasse molta aria anche all’interno, ho sovente sciacquato la superficie della carena per asportare i sali che rimanevano in sospensione su di essa, dopo l’evaporazione del manufatto.
A chi può interessare, ci sono altri metodi di asciugatura:
con la “sottana” in teli di nylon applicati a 20 cm. sopra la linea di galleggio, con asciugatura eseguita per mezzo di deumidificatore con l’ausilio di stufette elettriche ad aria calda. Bisogna comunque praticare sulla parte alta dei teli delle finestrelle che facilitano l’uscita della prima aria umida riscaldata all’inizio di ogni ciclo di asciugatura. Ovviamente il sistema sarà tanto più efficace quanto la pavimentazione sarà impermeabile o isolata dal terreno umido.
Altro sistema sarebbe asciugare la carena al sole di primavera/prima estate quando l’aria è ancora asciutta magari con l’ausilio di un bel vento secco ma, non potendo girare la barca sottosopra, sono venuto a conoscenza che in Tirreno un armatore ha avuto eccellenti risultati facendo riflettere i raggi solari sull’opera viva per mezzo di pannelli ricoperti di fogli di lucido alluminio.
Una volta avuta la conferma dell’asciugatura della carena ai valori minimi di umidità, ho proceduto all’ultimo risciacquo delle aree corrispondenti all’appoggio delle staffe dell’invasatura e, successivamente iniziato il ciclo di trattamento con resina epossidica del tipo C-System 10 10 CFS
a catalizzatore normale.
Mano dopo mano, applicandola a rullo a pelo raso, attingendo il prodotto da una bacinella bassa e larga per disperdere il calore generato dalla catalizzazione dei due prodotti da mescolare in dosaggi prescritti, tirandola perché non colasse, alla fine delle solite due mani giornaliere, avevo la carena che assomigliava ad una grande bottiglia di vetro.
La mattina successiva, passate poche ore dall’ultima mano, (si possono comunque dare in successione una mano dopo l’altra facendo attenzione che l’appiccicosità del prodotto si presenti tipo quella dello scotch, (e ben si intende non quello liquido e d’oltre Manica; inoltre se dopo l’asciugatura e reticolazione a causa dell’eccessiva umidità dell’aria, la superficie da resinare si presentasse come se fosse unta, allora bisogna asportare questa untuosità caratteristica della reazione del prodotto catalizzato, mediante lavaggio con spugnetta abrasiva), iniziavo l’applicazione delle altre mani così, per parecchi giorni sino a che ho raggiunto uno spessore, compresa la pala del timone, di circa 550 microns pari a circa 550 grammi di prodotto per metro quadro, spessore questo ritenuto dagli esperti più che sufficiente per una carena priva di osmosi come la mia.
Per poter distinguere di volta in volta fra il prodotto in applicazione e quello applicato, aggiungevo in maniera progressiva del colorante idoneo, inoltre a metà del ciclo di trattamento, ho iniziato ad aggiungere aumentandolo proporzionalmente, un addensante alla grafite che ha caratteristiche tixotropiche ed è resistente alle cavillazioni e ai graffi, inoltre risulta essere idrorepellente il che per il mio risultato non guasta.
Completato il ciclo che ha visto interessata anche una fascia di opera morta di circa 10 cm. in altezza oltre il limite della linea di galleggio, ho applicato 3 mani di primer bicomponente sempre dello stesso produttore che, oltre ad avere caratteristiche aggrappanti all’epossidico, forma con lo stesso un’unione solidale ed è un’ulteriore protezione contro l’osmosi.
Ovviamente il trattamento resina-primer è stato applicato prima alle aree di appoggio delle tacche dell’invaso e poi, atteso il tempo di reticolazione, alla barca ho levato i puntelli rinvasandola. E’ bene calcolare esattamente i punti ove la carena poggerà sulle tacche, meglio ampliandone le aree perché per quanto siano rigidi i montanti dell’invaso e siano contro-ventati, questi al momento di appoggio dello scafo, per effetto del peso di quest’ultimo, si allargheranno e potrebbero poggiare su aree di carena ancora da trattare.
Pitturazione coperta e fianchi
Il gelcoat della coperta al semplice contatto rilasciava leggermente il colore sfarinandosi.
Così dopo aver smontato tutta la ferramenta, escluse aimè le basi dei candelieri e gli osteriggi per la quale operazione era necessario lo smontaggio di ¾ degli interni, con la coperta completamente libera anche dalle finestrature, ho iniziato la pulizia anche del maledetto silicone, prima del ciclo di pitturazione.
Ho asportato del materiale non più in resistenza che era venuto a contatto nel tempo con l’acqua infiltratasi nelle aree di fissaggio dei perni passanti del salpa-ancore, delle bitte di ormeggio di prora, del golfare-landa dello stralletto e dell’entrata della losca del timone, il tutto colando resina mista a miscosfere e microfibre.
Ho ripassato resinando, i profili di alloggio delle finestrature che i parecchi punti si erano fessurato o che a causa della difficoltà di costruzione degli spigoli vivi in vtr, quest’ultimi non avevano completamente laminato. Pertanto ho dovuto asportare parecchie porzioni per poi ricostruirle.
Ho iniettato resina su tutti i fori di alloggio delle viti di fissaggio di tutte le pastecche delle manovre rinviate in pozzetto, nei fori di fissaggio della scassa edi tutto quanto avvitato o fissato in coperta, stuccato tutte le imperfezioni resinando anche le cosi dette zampe di gallina, poche per la verità.
Ho preparato tutta la superficie da pitturare lavandola e sgrassandola ulteriormente.
I dolori alle piante dei piedi nudi, per non sporcare la coperta con le scarpe, nel salire e scendere la scala per molte volte con i buglioli pieni d’acqua, sono solo un ricorso guardando la coperta pitturata e protetta.
Ho applicato tre mani di smalto bicomponente della Stoppani, preparandone 100 gr. per volta compreso il catalizzatore per paura che catalizzasse appunto prima ancora di stenderlo.
Ho dato un colore sul grigio perla chiaro affinche non disturbasse la vista con un riflesso abbagliante
Quello che mi ha sorpreso è stato il tempo che ho impiegato solo per una mano, superiore a quanto avevo previsto.
Il risultato mi sembra ottimo e lo smalto sembra avere corpo, spessore ed elasticità anche dopo tempo.
Ero scettico circa il rendimento delle zone dell’antisdrucciolo e pensavo bene. Ho dovuto come aveva tacitamente programmato, ripassarle spolverandoci sopra della sabbia silicea di grana medio-fine ricoprendola con altro smalto. Il risultato è che ci abrasiva le chiappe e partono i costumi da bagno, però noi non voliamo in mare!

La pitturazione dei fianchi ha reso necessaria una revisione dello stato del musone di prora in inox e della falchetta forata in lega anodizzata:
al primo, che è fissato alla coperta e alla ruota di prora tramite perni passanti, ho asportato tutto lo stucco e controllato eventuali ossidazioni e lo stato della vtr sottostante, trovando tutto in ordine.
Ho trattato resinato e primerizzando nonché ripristinando, lo stucco con resina e microsfere.
Alla seconda che congiunge per tutta la lunghezza della barca, la coperta con i fianchi per mezzo di perni passanti da 6 mm di diametro distanti cm 10 l’uno dall’altro, ho asportato tutto lo stucco che avevo applicato dopo l’acquisto, nella fessura di giunzione. Dopo aver ripetutamente lavato con getto d’acqua l’interno di questa fessura e, dopo l’opportuna asciugatura, ho stuccato a riempire con resina e microsfere creando ulteriore solidarietà fra le parti. Inoltre per permeabilizzare il tutto, ho sigillato a rasare con sigillante bianco poliuretanico mono componente non siliconico, che si può anche pitturare contrariamente al silicone.
Per quanto riguarda i fianchi, non era all’estetica che miravo, bensì al risultato tecnico di copertura, perché è mia teoria che, per quanto io creda nelle mie possibilità, dogma che potrebbe cadere anche da un momento all’altro, un’altra barca non debba mai avvicinarsi per sicurezza, se non con armatore di conosciuta e provata fede al timone, cosi che le eventuali imperfezioni non si notano.
Comunque ho applicato 4 mani sempre di smalto bicomponente della Stoppani, abrasivando a umido fra una mano e l’altra e dando l’ultima mano “sulle gambe” cioè, per evitare piccole zone non dipinte, controllavo pennellata per pennellata, aiutato anche dalla luce riflessa di una lampadina che spostavo di volta in volta, sulla superficie da pitturare, avendo sempre l’occhio vicino al pennello e le gambe giocoforza, sempre in flessione con i loro muscoli in tensione cosi che alla fine del lavoro, mi dolevano maledettamente. Il risultato è stato più che soddisfacente, e come mi è stato pure riferito, anche per le “linguacce” di banchina del circolo, detti anche corpi morti perché non escono mai con le loro barche.
Se siete arrivati sin qui senza annoiarvi, sono affari vostri e nulla avrete pretendere per il tempo perso.
Se il dio dei perseveranti e quello dei dementi che in quel tempo mi hanno assistito, continueranno a farlo, la mia amata barca con quel “pannolone” ad effetto inverso, credo navigherà ancora per un bel pezzo.
Siccome è vero, come è sacrosanto, che le barche hanno un’anima, spero mi sia grata del lavoro, del tempo e dei pensieri che le dedico senza nulla volere in cambio se non continuare quel meraviglioso rapporto che ci unisce da anni.
Un saluto e ….tante miglia di poppa….
Joshua da bordo dell’”Al Na’Ir IVa”
Bel lavoro! A questo punto qualche foto sarebbe il massimo! Ciao e b. V.
Siccome è vero, come è sacrosanto, che le barche hanno un’anima, spero mi sia grata del lavoro, del tempo e dei pensieri che le dedico senza nulla volere in cambio se non continuare quel meraviglioso rapporto che ci unisce
Ciao Alessandro,
l'entrata a gamba tesa del precedente post mi aveva fatto pensare male....Smile.
Leggendoti mi sono ricreduto alla grande(e questo spero mi eviterà l'errore di valutazioni/sensazioni che la fretta spesso proponeSmile).

Sto per fare anch'io il trattamento preventivo e in attesa del tepore primaverile sono momentaneamente fermo allo step'carena a gelcoat'Occhio nero.

Ti ringrazio molto per avere condiviso la tua esperienza che hai descritto veramente bene e che mi mette voglia di andare avanti con i lavoriSmiley14.

Ti auguro felici navigazioni e tanto Buon Vento!
Citazione:pulce75 ha scritto:
Bel lavoro! A questo punto qualche foto sarebbe il massimo! Ciao e b. V.
grazie, ma ho solo foto scattate per ricordo, si vede lo scafo alato e si capisce che è in lavoro però assomigliano a a tante altre e pertanto non sarebbero di aiuto.
saluti e.....tante miglia di poppa.....
Joshua da bordo dell' 'Al Na'Ir IVa'
Citazione:JARIFE ha scritto:
Ciao Alessandro,
l'entrata a gamba tesa del precedente post mi aveva fatto pensare male....Smile.
Leggendoti mi sono ricreduto alla grande(e questo spero mi eviterà l'errore di valutazioni/sensazioni che la fretta spesso proponeSmile).

Sto per fare anch'io il trattamento preventivo e in attesa del tepore primaverile sono momentaneamente fermo allo step'carena a gelcoat'Occhio nero.

Ti ringrazio molto per avere condiviso la tua esperienza che hai descritto veramente bene e che mi mette voglia di andare avanti con i lavoriSmiley14.

Ti auguro felici navigazioni e tanto Buon Vento!
buon dì Jarife,
ti auguro un buon lavoro e mi congratulo con te che anteponi l'amore per la tua barca, per le barche, al navigarci con essa cosa altrettanto importante.
Quello che mi preme di dirti è di non fare come altri che dopo aver asciugato la carena lasciando la barca alata per 2-3 settimane, hanno proceduto al trattamento. Sii certo e sicuro del suo stato di percentuale di umidità; se no tanto vale non farlo. Poi finito tutto, molla e vai che il mare è grande.
tante miglia di poppa....
joshua da bordo dell' 'Al Na'IR IVa'
Citazione:alessandro brustoloni ha scritto:
Citazione:JARIFE ha scritto:
Ciao Alessandro,
l'entrata a gamba tesa del precedente post mi aveva fatto pensare male....Smile.
Leggendoti mi sono ricreduto alla grande(e questo spero mi eviterà l'errore di valutazioni/sensazioni che la fretta spesso proponeSmile).

Sto per fare anch'io il trattamento preventivo e in attesa del tepore primaverile sono momentaneamente fermo allo step'carena a gelcoat'Occhio nero.

Ti ringrazio molto per avere condiviso la tua esperienza che hai descritto veramente bene e che mi mette voglia di andare avanti con i lavoriSmiley14.

Ti auguro felici navigazioni e tanto Buon Vento!
buon dì Jarife,
ti auguro un buon lavoro e mi congratulo con te che anteponi l'amore per la tua barca, per le barche, al navigarci con essa cosa altrettanto importante.
Quello che mi preme di dirti è di non fare come altri che dopo aver asciugato la carena lasciando la barca alata per 2-3 settimane, hanno proceduto al trattamento. Sii certo e sicuro del suo stato di percentuale di umidità; se no tanto vale non farlo. Poi finito tutto, molla e vai che il mare è grande.
tante miglia di poppa....
joshua da bordo dell' 'Al Na'IR IVa'
Si ,ho sentito che tanti alano,fanno il trattamento e varano nel giro di poco tempo e sono d'accordo con te sulle perplessità.
La mia barca ha 7 anni e ha svernato a terra ogni inverno.
L'ho alata alla fine di ottobre per raschiettarla con calma e per farla asciugare ancora un po'.
I valori di umidità della carena sono più che buoni,anche la pala del timone .
Ho deciso di fare il trattamento per ridurre ,in futuro,lo stazionamento a terra al necessario per la manutenzione della carena-asse e zinchi.

BV
Citazione:JARIFE ha scritto:
Citazione:alessandro brustoloni ha scritto:
Citazione:JARIFE ha scritto:
Ciao Alessandro,
l'entrata a gamba tesa del precedente post mi aveva fatto pensare male....Smile.
Leggendoti mi sono ricreduto alla grande(e questo spero mi eviterà l'errore di valutazioni/sensazioni che la fretta spesso proponeSmile).

Sto per fare anch'io il trattamento preventivo e in attesa del tepore primaverile sono momentaneamente fermo allo step'carena a gelcoat'Occhio nero.

Ti ringrazio molto per avere condiviso la tua esperienza che hai descritto veramente bene e che mi mette voglia di andare avanti con i lavoriSmiley14.

Ti auguro felici navigazioni e tanto Buon Vento!
buon dì Jarife,
ti auguro un buon lavoro e mi congratulo con te che anteponi l'amore per la tua barca, per le barche, al navigarci con essa cosa altrettanto importante.
Quello che mi preme di dirti è di non fare come altri che dopo aver asciugato la carena lasciando la barca alata per 2-3 settimane, hanno proceduto al trattamento. Sii certo e sicuro del suo stato di percentuale di umidità; se no tanto vale non farlo. Poi finito tutto, molla e vai che il mare è grande.
tante miglia di poppa....
joshua da bordo dell' 'Al Na'IR IVa'
Si ,ho sentito che tanti alano,fanno il trattamento e varano nel giro di poco tempo e sono d'accordo con te sulle perplessità.
La mia barca ha 7 anni e ha svernato a terra ogni inverno.
L'ho alata alla fine di ottobre per raschiettarla con calma e per farla asciugare ancora un po'.
I valori di umidità della carena sono più che buoni,anche la pala del timone .
Ho deciso di fare il trattamento per ridurre ,in futuro,lo stazionamento a terra al necessario per la manutenzione della carena-asse e zinchi.

BV
d'accordo per lo stato mentale e per le imprese, buon lavoro
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