I Forum di Amici della Vela

Versione completa: Pubblicaizoni indipendenti su prestazioni vele ?
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Studiando il mondo delle cime sono stato colpito dalla semplicità con cui si reperiscono i dati di ogni singolo prodotto e da come confrontando carico di rottura, allungamento al 30% e al carico di rottura e creep si possa capire effettivamente quali siano le differenze tra cima e cima. Anche i prezzi sono assolutamente trasparenti.

Poi tra lì e saperle usare o sfruttare davvero....

Diametralmente mi colipsce non essere riuscito a reperire NESSUNA pubblicazione che confrontasse le diverse prestazioni dei materiali velici.

Certo certo, una vela non è solo il suo materiale, ma anche (o soprattutto) la sua forma...

Ma possibile che nessuno si sia messo a fare la stessa forma di vela per la stessa barca in dacron cross-cut, pentex, technora, kevlar, carbonio, taffettati e non e chi più ne ha più ne metta e confronate così le reali differenze?

Magari qualcuno che legga PBO ne è a conoscenza?
Questa tavola è la cosa più vicina che ho trovato a quello che avrei voluto. Avevo commesso il madornale errore di cercare sorgenti in italiano, vedo che in letteratura anglosassone qualche comparazione come si deve c'è...

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Wiki invece esprime le differenze come percentuali di differenza sulla baseline di scelta che è il kevlar-49.
Certo perchè chi è il velista che non ha sottopelle come una seconda natura le prestazioni del kevlar-49 per capire il termine di paragone....


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Non conosco pubblicazioni indipendenti che facciano dei test oggettivi sulle prestazioni delle vele.

E anche ci fossero, ti assicuro che da esperienze fatte in altri settori, le prestazioni sarebbero comunque commisurate alle pagine di pubblicità acquistate dalle diverse ditte produttrici.Wink

Quelle che hai postato sono le caratteristiche delle fibre, che sono solo una parte del manufatto vela.

Ti consiglio, per quanto riguarda i tessuti ed i laminatii industriali, di visitare i siti delle ditte produttrici ( es. Dimension, Bainbridge, Contender ) e di esaminare le caratteristiche dei materiali già tessuti completi di finissaggio od assemblati nel caso dei laminati.

Nel caso delle membrane molta parte della prestazione è dovuta alla disposizione delle fibre e dalla tipologia della laminazione, ma essendo la prima 'customizzabile' è difficile trovare una regola di valutazione universalmente riconosciuta.

Non avrebbe comunque senso paragonare le prestazioni della stessa vela realizzata con la stessa forma in materiali diversi: come puoi facilmente immaginare, ma come risulta analiticamente nell'analisi aerolastica, la deformata delle vele soggette alle tensioni ed alla pressione di progetto è diversa a seconda del modulo delle fibre utilizzate e del loro orientamento. Dunque la bravura del progettista sta nell'ottenere la forma desiderata nel range di utilizzo e non quando la vela è scarica: da ciò si comprende che sarebbe un errore banale utilizzare e poi confrontare lo stesso progetto su vele realizzate in materiali diversi.

Non so se sono stato chiaro Wink

Ciao
Grazie Albert,
sei stato Chiaro eccome!
Cercavo e continuo a cercare di farmi un metodo di analisi per capire, senza voler arrivare al livello di ingegnerizzazione, qualcosa di più in questo mondo tutt'ora permeato di cripticismo che è la prestazione di una vela confrontata ad altra, almeno nella testa del diportista.

Qui mi scrivi Non avrebbe comunque senso paragonare le prestazioni della stessa vela realizzata con la stessa forma in materiali diversi: come puoi facilmente immaginare, ma come risulta analiticamente nell'analisi aerolastica, la deformata delle vele soggette alle tensioni ed alla pressione di progetto è diversa a seconda del modulo delle fibre utilizzate e del loro orientamento.'

Da bravo profano intendevo la stessa forma nel senso bidimensionale del termine, cioè a parità di superficie sviluppata, in maniera da sottrarre all'equazione prestazionale la variabile mq di tela esposta cercando così progressivamente di isolare il vantaggio intrinseco del materiale. Di nuovo parlando da profano, supponendo di avere un materiale con modulo elastico tendente ad infinito immagino che si possa determinare la forma della vela ed essa dovrebbe rimanere costante da statica a qualunque carico gli si possa imporre, ottimizzando pertanto il rendimento dei flussi sul profilo 'alare' risultante. Questo un primo vantaggio della crescita del modulo. Il secondo vantaggio che mi aspetterei, direttamente collegato al primo, è la mancata dissipazione elastica delle forze impresse alla vela, che così facendo non vengono disperse a 'ingrassare' la tela ma vengono trasferite allo scafo (dimenticando il discorso cordame e drizzame per semplificazione estrema).
E' corretto quello che ho scritto in linea di principio grossolano?

Poi scrivi ancora Dunque la bravura del progettista sta nell'ottenere la forma desiderata nel range di utilizzo e non quando la vela è scarica: da ciò si comprende che sarebbe un errore banale utilizzare e poi confrontare lo stesso progetto su vele realizzate in materiali diversi.'

Verissimo nell'utilizzo reale, infatti dovendo progettare il test standard ovviamente va standardizzata anche la forza del vento utilizzata (parete di ventilatori stile windsurf indoor?) magari plottando i risultati a 5-10-15-20-25 nodi.
Ma il vantaggio nel cambiare materiale dovrebbe pure essere che a meno deformabilità dovrebbe corrispondere una maggior costanza di forma per ampio range di vento, o sbaglio?
Rispondo brevemente, poi eventualmente approfondiamo in serata.

Questione 1: se supponiamo il modulo elastico tendente ad infinito, escludiamo a priori le differenze tra i materiali, dunque sarebbe sufficiente nel progetto fermarsi all'analisi aerodinamica sul mould di progetto, ma così facendo all'uscita del pianale della veleria la forma di una vela in dacron sarebbe identica a quella di una membrana in carbonio (il cui modulo possiamo definire altissimo): in teoria entrambe con la stessa efficienza aerodinamica, ma nella pratica quella in dacron potrebbe essere migliorata di molto se si fosse tenuto conto nel progetto della deformata sotto carico.....

Questione 2: è vero in parte che una vela costruita in fibre ad alto modulo può resistere senza deformarsi a carichi elevati. Se ciò da un punto di vista è un vantaggio, per altri versi non lo è: ad esempio sappiamo che aumentando il carico sulla ghinda di una vela in dacron con taglio cross-cut ne possiamo modificare la posizione del grasso per adattarla a condizioni diverse; se tentiamo di fare la stessa cosa con una vela radiale, una in laminato o in membrana, non otteniamo lo stesso risultato e la deformiamo irrimediabilmente. Dunque non è detto che per coprire lo stesso range di condizioni servano meno vele hi-tech di quante ne servirebbero se fossero realizzate in dacron; le prime vanno sostituite per avere la forma giusta per le condizioni del momento, le seconde principalmente per avere la grammatura corretta per le tensioni in gioco e limitare le deformazioni.

Ciao
Ho passato svariate ore a spulciare siti, pubblicazioni e pubblicità, ora mi è più chiara la scala di prestazione teorica delle varie fibre (che poi è più o meno quella della prima tavola).

Come però giustamente da te sottolineato rimane cruciale il fatto che esiste forma appropriata per sfruttare al meglio una data intensità di vento, e al suo cambiare con una vela 'a forma fissa' (passami la ipersemplificazione per indicare le vele dicaimo laminate con fibre ad alto modulo) va cambiata del tutto la vela, mentre con una vela 'deformabile' (diciamo woven PET cross cut) si può appunto agire per cambiarne la forma (smagrirla-ingrassarla etc)...
Sì, ma diciamo che anch'io avevo ipersemplificato, nel senso che, a parte il cambiamento di forma dovuto alle caratteristiche di costruzione della vela, rimangono comunque le possibilità di regolazione ed adattamento connesse alle manovre, in particolare per la randa, che non è intercambiabile: tesabase, vang, carrello, curva dell'albero, ovvero paterazzo o volanti, e comunque qualche opportunità c'è anche per il fiocco o genoa: tensione dello strallo, posizione del carrello e/o del tweaker.

Dunque qualche margine di regolazione c'è anche per le vele hi tech: in ogni caso, chi 'imbrocca' la vela giusta al momento giusto ha sempre quel minimo margine di vantaggio su chi regola ed adatta una vela fuori range al range del momento. Esempio banale ma ricorrente: nella prima bolina rinforza il vento e chi l'ha previsto ed ha optato per il medio guadagna in VT su chi è partito col leggero, nonostante tutte le regolazioni del caso di quest'ultimo ....
Ti faccio una domanda a cui sei libero di non rispondere, se professionalmente ti senti coinvolto e dunque parziale (se qualcun altro si sente di rispondere è il benvenuto).

Secondo te (e dunque non sarai tacciato di non dire la verità universale, solo la tua opinione, inattaccabile per definizione) che vela è logico far seguire a quelle in dacron cross cut di cantiere grande produzione su uno scafo crociera con vaghe ascendenze crociera veloce?

Io per esempio ho un Hanse 400 con il dacron cross cut North, cime poliestere qualità base, sartiame in spiroidale e albero in alluminio.
Sono consapevole che per poter trasmettere l'energia generata dal vento allo scafo con la minima perdita il sistema dovrebbe adeguarsi in tutti i suoi elementi.

Quindi teoricamente è una follia mettere delle vele in PBO e poi tenere sartie e cime come sono dal momento che pur non dissipando la vela dissiperebbero molto cime e sartie con un risultato di incremento prestazionale nettamente inferiore alle attese.

D'altra parte a mettere vele scotte drizze e sartie in PBO bisogna avere un budget da coppa america.

E poi si tratta sempre di capire se uno un rig tutto PBO lo sa portare e far rendere (nel mio caso sono sicuro di non saperlo usare..)

Tornando a me, con le mutande di serie nelle ultime due regate sono stato probabilmente il più veloce del raggruppamento in bolina, merito dello scafo e non certo mio.

Ma la drizza di randa ha ceduto visibilmente e la forma delle vele, ancorchè cazzate a ferro, mostrava un bel grasso tutt'altro che desiderabile a 30 gradi sull'apparente (e poi tra l'altro a 18 nodi e randa piena comincia ad esserci una tendenza alla straorza non sempre controllabile..)

Volendo salire nella prestazione, cosa sarebbe logico fare?

A naso direi, per le mie capacità, che bisogna salire di un gradino per volta, e su tutti i componenti e imparare ad usarli al meglio. E poi salire un altro gradino e via.

Finchè sono finiti i soldi (probabile) o la voglia (improbabile).

Sulle cime è facile: passare a Dyneema SK75 o Spectra.
Sulle sartie: a che livello va gettato lo spiroidale? Già al primo gradino bisogna passare alle fibre tessili (per esempio Sk78) o ha ancora senso passare dal tondino?
Sulla vela: qual'è il tessuto next step?
Non ho problemi di sorta a rispondere anche se non imparzialmente, dato che ovviamente quella che segue è la mia oppppinione personale WinkWink.

La soluzione ideale e di massimo rendimento è sempre quella in cui tutti gli elementi, nessuno escluso, a partire dall'equipaggio per finire con l'ultimo moschettone, siano allineati sullo stesso livello: è inutile esaurire il budget per una cosa e poi averne invece altre carenti.

Io per una barca come la tua, con equipaggio non professionista e per regate di circolo o zonali vedrei bene uno step così concepito:


Drizze, scotte etc. in DSK 75 impiombate.

Sartiame minimo in dyform o meglio tondino (escluse fibre tessili).

Vele in membrana fibrate almeno in pentex (o se il budget lo consente fibrate in spectra o esagerando in kevlar/carbonio), e, se vengono utilizzate solo per regata in film/film, mentre se l'utilizzo è misto e/o per regate lunghe offshore, con doppio taffettà.

Bozzelli 'seri' (a rulli dove serve che scorrano), accessori e moschettoni 'seri', rivisitazione di pulegge, uscite, circuiti dell'albero ... (scrivo 'seri' per non citare marche e modelli che comunque si possono immaginare facilmente Wink)....

Strumenti ??

Ciao
Condivido ogni parola della tua risposta, grazie Albert.
MI trovo ora a dover dimensionare i carichi di tutto l'ambaradan.
Certo posso basarmi sulle cime e sui bozzelli che ho già (dei Lewmark da 1100 kg) ma, per capire, immagino che si cominci dalla trazione che generano le vele per una determinata intensità di vento.
Ed immagino che la suddetta sia una funzione dei metri quadrati di tela esposta.
E dunque quanto 'tira' un metro quadrato di vela al massimo del vento che intendiamo affrontare (30 nodi?)
Peraltro vedo che a bordo ci sono gli stessi bozzelli in ogni posizione, ma dubito che la scotta di fiocco e la scotta di randa siano sottoposti alla stessa trazione giacchè la randa è quasi il doppio di superficie del fiocco....
Ho trovato questa formula, ora provo a scrivere un foglio excel e vedere con le mie vele che carichi vengono fuori (randa 53 mq fiocco 36 mq)

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HO creato un semplice foglio di calcolo che teneva conto della suddetta formula per la randa, e per i lfiocco ho usato sia la stessa sia la MArshall semplificata (se ho capito bene) a partire dalla superficie del fiocco.

I carichi di drizza mi sono venuti circa 750 Kg randa e 650 kg fiocco a 20 nodi, carico di scotta randa di conseguenza di più (1300 kg e passa) scotta fiocco con la Marshall 330 kg.

Che per sicurezza vanno raddoppiati-triplicati sul carico di rottura cime; Anche i bozzelli dovrebbero adeguarsi, di base il cantiere mi ha montato dei Lewmar Synchro 72 che indicano come carico di lavoro 'safe' 1100 kg, dovrebbero essere a posto..

Probabilmente passando al dyneema basta cima dell'8 per tutto, forse del 10 sulla scotta di randa ma anche no. L'8 porta 3200 kg come carico di rottura, dovrebbe essere adeguato, che ne dite?
Citazione:skybet ha scritto:
HO creato un semplice foglio di calcolo che teneva conto della suddetta formula per la randa, e per i lfiocco ho usato sia la stessa sia la MArshall semplificata (se ho capito bene) a partire dalla superficie del fiocco.

I carichi di drizza mi sono venuti circa 750 Kg randa e 650 kg fiocco a 20 nodi, carico di scotta randa di conseguenza di più (1300 kg e passa) scotta fiocco con la Marshall 330 kg.

Che per sicurezza vanno raddoppiati-triplicati sul carico di rottura cime; Anche i bozzelli dovrebbero adeguarsi, di base il cantiere mi ha montato dei Lewmar Synchro 72 che indicano come carico di lavoro 'safe' 1100 kg, dovrebbero essere a posto..

Probabilmente passando al dyneema basta cima dell'8 per tutto, forse del 10 sulla scotta di randa ma anche no. L'8 porta 3200 kg come carico di rottura, dovrebbe essere adeguato, che ne dite?

Siccome sto cercando anche io una tabella dei carichi Dyneema , magari comparativa anche con altri prodotti, mi sembra di aver capito che dire 'l'8 porta 3.800KG' non è esatto in quanto lo stesso diametro con diverse lavorazioni porta a carichi di rottura diversi.
Si hai ragionissima, ti dico quello che ho imparato fin qui, poi chi ne sa di più del forum farà i dovuti aggiustamenti e correzioni.

La tenuta della cima dipende fondamentalmente dalla treccia interna (anima).

A sua volta la tenuta di quest'ultima dipende da due fattori:

- il diametro

- il trattamento delle fibre

Il primo fattore è di gran lunga preponderante.

CI sono cime dyneema cosiddette da crociera in cui l'anima è più sottile, da cui un carico inferiore (e un costo pure inferiore) a parità di diametro complessivo.

Praticamente per accontentare la gente e fargli dire che ha la cima in dyneema dell'otto si mette una treccia più piccola e una calza più spessa, cima finale calibro 8 ma carico di rottura la metà.

Oppure ancora si può fare una treccia interna con fibra mista, in cui ci sia solo la metà di dyneema e l'altra metà poliestere. E di nuovo si risparmia e si ha una cima con il calibro esterno desiderato, ma carico di rottura la metà.

Fatta salva questa distinzione fondamentale, se si passa su prodotti di livello race o comunque votati alla performance le anime diventano tutte in dyneema puro.

Quindi per una cima calzata dell'otto battono intorno ai 3200 kg base.

Poi i vari trattamenti fanno crescere ancora leggermente il carico di rottura, ma non cambiano l'ordine di grandezza del carico di rottura (e comunque neanche quello del prezzo)..
Quoto
Citazione:Messaggio di skybet
.... confrontando carico di rottura, allungamento al 30% del carico di rottura e creep si possa capire effettivamente quali siano le differenze tra cima e cima.

OcchioWink che il carico di lavoro delle cime in dyneema, e dunque quello che va adeguato al risultato delle formulette, è appunto il 30% del carico di rottura, come da te scritto all'inizio....
Certo, ma il 30% di 3200 Kg (cima dyneema da 8), cioè 1070 kg è sufficiente a coprire tutti i carichi tranne la scotta di randa...
Citazione:skybet ha scritto:
Certo, ma il 30% di 3200 Kg (cima dyneema da 8), cioè 1070 kg è sufficiente a coprire tutti i carichi tranne la scotta di randa...

Hai diviso per la demoltiplica del paranco?
Nel caso di una tedesca già si dimezza il carico.
Di solito per la scotta randa il problema è prendere una cima
che non seghi le mani, perchè il carico viene sopportato tranquilamente
In teoria forse sì, ma io su un 40', in mano, nei self tailing e negli stopper preferirei di gran lunga uno 'spago' da 10.

Tieni presente che i 3200 kg. sono il risultato di un test ottimale, con la cima avvolta su mandrini, dunque niente camme di stopper, giri nelle pulegge o piombe o, peggio, nodi, appena uscita dalla produzione e dunque senza nemmeno un giorno di esposizione agli UV ed alle intemperie....

Ciao
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