Hinkley 40 1946
Un Sogno americano
(di Matteo Salamon)
Le radici di quello che probabilmente ancora oggi è il miglior cantiere navale degli Stati Uniti d’America, tra quelli specializzati nella costruzione di barche classiche, trovano le fondamenta nel 1908, quando ebbe i natali il suo fondatore Henry R. Hinckley.
Figlio di un benestante allevatore di bestiame del Massachusetts, che nulla aveva a che spartire con il mondo della nautica da diporto, H.H. scoprì il proprio amore per il mare e le barche nel 1924, al-lorquando la famiglia acquistò una piccola proprietà in una delle più belle e gradevoli baie del Mai-ne, nel nord est del paese: Southwest Harbor. Il giovane Hinckley, a soli 15 anni, si cimentò nella sua prima costruzione navale, allestendo con materiale di fortuna un piccolo daysailer a vele qua-dre, utilizzando legname per un valore di poco oltre i $6.00, erba per eseguire il calafataggio e vec-chie stoffe recuperate in casa per cucire le vele.
Dopo avere conseguito una laurea in ingegneria aeronautica all’università di Cincinnati, senza per questa ragione avere abbandonato l’esercizio di disegnare barche, Henry convinse il riluttante padre ad affidargli un capannone adiacente la tenuta del Maine, che era stato acquistato dalla famiglia con l’intento di liberarlo e abbatterlo, risolvendo così il problema del suo ingombrante inquilino alcoliz-zato e chiassoso. Il ventottenne neolaureato e giovane sposo Henry era ormai fermamente deciso nella propria volontà di dedicarsi alla cantieristica. A quel tempo, naturalmente, era disponibile il legno come materiale primario per la costruzione di barche (ferro e alluminio erano ancora poco uti-lizzati), pertanto H.H. diede l’avvio alla propria azienda costruendo piccole lobster boats (tipiche imbarcazioni a motore di 25’/30’ utilizzate dai locali pescatori di aragoste) a fasciame classico, e qualche piccolo veliero su disegno proprio o dei principali architetti attivi a quel tempo nella costa est (Sparkman & Stephens, Philip Rhodes, etc.).
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale coinvolse, come molte altre industrie americane, anche la cantieristica, e certamente Hinckley, che a pochi anni dall’inizio della propria attività già godeva di ottima fama, non fu dimenticato dalla Marina del proprio Paese. Costruì quindi negli anni della guerra non meno di 600 imbarcazioni per lo sforzo bellico americano, tra i quali alcuni yawls cac-ciamine, piccoli dinghy e rimorchiatori.
Al termine della guerra, con l’avvento della galoppante crescita economica che vide rifiorire tutto il mondo occidentale, Hinckley ebbe un successo clamoroso, e meritato, con le sue barche, e dedicò i propri sforzi e capacità al diporto nautico.
Hinckley era diventato in pochi anni un famoso costruttore di imbarcazioni in legno, e insieme con il collega, il presidente della Chris-Craft Corporation Bill MacKerer, era pubblicamente e totalmen-te contrario e fermo oppositore all’avvento dei nuovi materiali sintetici che vedevano la fibra di ve-tro al centro di una accesa diatriba, tra pro e contro. Nonostante ciò, però, Hinckley era un uomo e-stremamente intelligente e lungimirante, e ben si rendeva conto già all’inizio degli anni ’50 che si intravedeva una possibile rivoluzione nel campo della nautica. Se la vetroresina avesse preso il so-pravvento, tutta la cantieristica e i clienti si sarebbero gettati senza indugio a costruire, e acquistare, barche fatte con un materiale che permetteva di diminuire, e di molto, la manutenzione degli scafi, essendo ovviamente esente dai fastidiosi interventi di continua calafatazione, sostituzione di tavole e ri-avvitamento del fasciame. A tale proposito, in totale segreto, Hinckley iniziò a fare esperimenti con le fibre sintetiche e costruì piccole barche che diede ai propri figli perché ne facessero dei seve-ri test di resistenza. Soddisfatto infine delle prove e convintosi della bontà del nuovo materiale, H.H. decise di testare le capacità di uno yawl di 38’ di proprio disegno, e di utilizzare quindi lo sca-fo per farne uno stampo, al fine di iniziare la produzione della barca in serie.
Le storia andò diversamente.
Nel 1959, al salone nautico di New York, Hinckley fu avvicinato da un consorzio di otto entusiasti futuri armatori, i quali gli proposero di costruire in serie una barca di 40’ in fibra di vetro, a deriva mobile, su disegno di Bill Tripp (si trattava di una modifica, apportata dallo stesso Tripp, del Vites-se 40 –meglio noto come Block Island 40-, barca costruita in Olanda da Van Breemens Internatio-nals e in USA dalla American Boatbuildings). A malincuore Hinckley abbandonò il proprio sogno del 38’ da lui disegnato, ben consapevole che la forza di costruire una barca i cui i primi 8 esemplari erano già venduti, era un ottima cosa dal punto di vista economico/aziendale. Il primo Hinckley Bermuda 40 (Huntress) venne varato nel 1960 (Lft m 12.41, lunghezza al galleggiamento m 8.47, baglio massimo m 3.57, pescaggio m 1.23 (a deriva sollevata) m 2.60 (a deriva abbassata), superfi-cie velica mq 67 (sloop) mq 72 (yawl) dislocamento Kg 8.618), l’ultimo, lo scafo numero 204, nel 1992 (si tratta della barca in serie costruita per il più lungo periodo di tempo); nei 32 anni durante i quali rimase in produzione il disegno venne aggiornato tre volte (MK I, MK II, MK III).
Fu un successo indiscusso e a tutt’oggi senza precedenti.
In un vecchio annuncio pubblicitario, Henry Hinckley dichiarava di “costruire una barca di legno all’interno di uno scafo in vetroresina”, infatti, la qualità di cui Hinckley si vantava (giustamente) era quella non di un oggetto fatto in serie, ma ad personam, totalmente custom, come infatti sono tutte le barche del cantiere, con una qualità e un livello di finiture degni della migliore delle costru-zioni Sangermani!
Essendo stata costruita esclusivamente su ordinazione, non esiste un layout standard del Bermuda 40, anche se pochi armatori, oltre ad andare personalmente nel magazzino del cantiere a scegliere l’essenza di legno, hanno optato per forme e divisioni interne che si sono scostate poco dalla classi-ca cabina amatoriale di prua con brande a “V”, locale WC subito prima, opposto a una serie di ar-madi e cassettiere, quadrato con tavolo centrale, divani e soprastanti cuccette del navigatore, una per murata, cucina e tavola nautica ai lati dell’ampio tambugio, con motore sottostante la scaletta di accesso. A causa del loro elevato costo (per ragioni comprensibili Hinckley non è mai stato a buon mercato), tutte le barche sono state commissionate da armatori facoltosi, che nel corso dei decenni le hanno sempre mantenute senza risparmi, anzi, molte sono state addirittura fatte aggiornare dalla stessa Hinckley, che, tra le altre cose, ha provveduto a sostituire (nelle barche degli anni ’60) i vec-chi motori a benzina Atomic con i più aggiornati Westerbeke 4 107 o Yanmar, a ri-pitturare gli scafi, e ad apportare altre modifiche più o meno importanti. Conseguenza di tutto ciò è che, anche se ra-ramente si trovano sul mercato più di una o due barche per volta, le cifre alle quali vengono oggi vendute vanno dai $120.000 ai $225.000, a seconda che si tratti di una barca degli anni ’60 o di una di quelle varate durante gli ’80 o primi ‘90.
Quando oramai era declamato il successo senza riserve del Bermuda 40, Hinckley (1962) confortato anche dal fido collaboratore ed amico Gilbert Cigal, decise che era venuto il momento di affidare alla favolosa matita della Sparkman & Stephens il disegno di un 35’. Il risultato fu una delle barche costruite in serie tra più belle che siano mai state concepite: il Pilot 35.
Con una lunghezza fuori tutto di m 10.88, lunghezza al galleggiamento m 7.62, baglio massimo m 2.89, pescaggio m 1.52, superficie velica mq 51 (per entrambe le versioni armate a yawl o sloop), dislocamento kg 6.123, il Pilot 35 è una vera e propria poesia del mare.
Precedentemente Hinckley aveva già costruito 8 esemplari di 35’ a fasciame classico (disegno S&S n° 1219, del 1956); solo nel 1962 infatti H.H. commissionò allo studio di architettura una revisione dello stesso per farne una versione in fibra di vetro (disegno S&S 1727); di queste 117 furono co-struite nel cantiere, a Southwest Harbor, nel Maine, e 8 per conto della Marina del Cile, nel loro pa-ese, su licenza della stessa Hinckley, con armo leggermente ridotto. Escluse 25 barche che ebbero armamento a yawl, le restanti furono tutte varate con armo a sloop, e, come tradizione per tutte bar-che di Stephens, avevano la grande dote di stringere il vento con grande facilità e naturalezza, anche se con l’inconveniente di essere un po’ “bagnate” a questa andatura, dato il bordo libero contenuto.
Tutti gli armatori dei Pilot 35 sono certi di possedere una delle barche a vela meglio costruite e più belle che esistano, e probabilmente non hanno torto. Bisogna anche considerare che negli anni ’60 ben poco era noto di ciò che sarebbe avvenuto in futuro alla fibra di vetro, in conseguenza di ciò, per non correre rischi alcuni, H.H. decise di sovradimensionare tutte le parti strutturali delle proprie imbarcazioni. Non sono solo i particolari quale la flangia di 15 centimetri (o 45 cm in corrisponden-za delle lande) tutt’uno con lo scafo, sulla quale viene incollata e avvitata la coperta, e poi ri-avvitata una seconda volta solidalmente con la falchetta, o le ordinate e i rinforzi in legno resinati strutturalmente allo scafo, o le paratie anch’esse portanti resinate allo scafo/coperta, che conferisco-no robustezza e rigidità alla barca, ma anche la lavorazione meticolosa e state of the art, come di-rebbero gli inglesi, assolutamente al meglio, fanno di queste barche oggetti unici, irripetibili e per-fetti.
Alcuni esemplari di questi straordinari velieri sono stati ceduti da padre in figlio, e forse passeranno a un altro figlio e così via, i Pilot 35, come anche già detto per quanto riguarda i Bermuda 40, sono barche sopra le quali il tempo è passato inesorabile, ma non si vede..
Oggi, a giudicare dalle barche nuove che si vedono in mare o ai saloni nautici, ci si rende tristemen-te conto che l’arte di costruire barche così solide e ben curate è andata persa con l’avvento della grande produzione in serie. Purtroppo solo raramente, e solo nelle grandi dimensioni, si trovano an-cora lavorazioni qualitativamente degne. L’armatore che desidera la barca di 10/12 metri ormai vuole solo tante comodità e un costo contenuto. Inevitabilmente, quindi, il mercato delle barche in serie è passato nelle mani di poche grandi multinazionali, che costruiscono le imbarcazioni come una vettura utilitaria, in catena di montaggio. Il risultato, sul quale i commenti sono superflui, lo ve-diamo per mare.
Henry Hinckley si vantava con orgoglio di consegnare tutte le sue barche ai propri clienti solo dopo avervi dormito, lui personalmente, almeno una notte, al fine di potere verificare di persona che tutto fosse stato fatto a regola d’arte, che nulla fosse sbagliato.
Un Pilot 35, a oltre 25 anni dalla sua cessata produzione è ancora un veliero forte, robusto e bello come il giorno del suo varo, e viene venduto oggi tra i $75.000 e i $132.000, cifre tutt’altro che mo-deste, ma, dopo tutto, perché un’opera d’arte non deve acquisire valore con il tempo?
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