11-02-2019, 00:24
Il mio contributo sull'argomento in oggetto si basa ;
-sull'esperienza diretta di un episodio avvenuto ai caraibi all'apparenza banale finito bene e
-su quanto riportato direttamente da chi ha vissuto un'esperienza ben più seria sia nella versione del naufrago che di chi è rimasto in barca e solo dopo qualche tempo si è accorto di aver perso un uomo senza fra l'altro essere stato in grado di recuperarlo. L'uomo in questione è stato "pescato" da una barca a motore di passaggio....
-Esercitazioni uomo a mare ripetute con una certa frequenza, con altri velisti desiderosi di apprendere e
-inoltre come altri ho partecipato ad un corso di Umberto Verna che è stato per diverse ragioni illuminante (quanto tempo siamo in grado di stare a mollo in acqua a 25°C rimanendo lucidi e attivi!).
Mi sento di poter affermare che il punto critico dell'argomento è come sviluppare la consapevolezza di quanto è importante e quanto coinvolge ognuno di noi il problema dell'uomo a mare.
Di come necessariamente la soluzione può arrivare solamente impegnandosi direttamente e sulla propria barca, adesso, a mettere insieme procedure confrontate e correggibili a seguito di esercitazioni mirate.
Questo è il messaggio positivo che giustifica il lavoro che è stato intrapreso con questo 3d, dove è giusto parlare di una manovra di recupero di uomo a mare standardizzata consapevoli che è solo una parte del lavoro da fare.
Solo il confronto continuo fra le esperienze proprie, fatte sulla propria barca con il proprio equipaggio, ci garantisce la possibilità di aumentare la percentuale di successo in operazioni di recupero cui la sorte ci potrebbe mettere difronte.
Credo che si possa condividere che non esiste manovra anche sostenuta da letteratura ufficiale ne apparecchiature moderne e sofisticate che possano ottenere risultati paragonabili all'addestramento continuo e al desiderio di migliorare i propri standard di sicurezza personali e sulla propria barca.
Solo il lavoro che facciamo sulla nostra barca e il tempo che dedichiamo alle esercitazioni pratiche ci possono ripagare.
In questo senso credo sia bene valutare tutti gli elementi che contribuiscono a raggiungere lo scopo comprese:
- la prevenzione nel senso più ampio del termine (letteratura, preparazione alla navigazione, dispositivi di legatura, partecipazione a corsi vari)
- le apparecchiature più recenti di cui dotarsi (anulari, ferri di cavallo, aste, elettronica varia, luci, )
- addestramento dell'equipaggio (produzione di procedure e tempo dedicato alla loro presentazione prima di un'uscita)
- le procedure di ritorno sull'uomo più idonee alle diverse situazioni (disinserire il pilota, fermare la barca, accendere il motore, ammainare le vele),
- i protocolli di ricerca più affidabili nel caso l'uomo non sia più visibile,
- la necessità di lanciare un allarme (pan pan) se i primi tentativi non danno risultati in tempi stabiliti e le modalità per farlo,
- gli stratagemmi per sollevarlo dall'acqua e riportarlo a bordo (boma, drizze, scucchiaiamenti
-sull'esperienza diretta di un episodio avvenuto ai caraibi all'apparenza banale finito bene e
-su quanto riportato direttamente da chi ha vissuto un'esperienza ben più seria sia nella versione del naufrago che di chi è rimasto in barca e solo dopo qualche tempo si è accorto di aver perso un uomo senza fra l'altro essere stato in grado di recuperarlo. L'uomo in questione è stato "pescato" da una barca a motore di passaggio....
-Esercitazioni uomo a mare ripetute con una certa frequenza, con altri velisti desiderosi di apprendere e
-inoltre come altri ho partecipato ad un corso di Umberto Verna che è stato per diverse ragioni illuminante (quanto tempo siamo in grado di stare a mollo in acqua a 25°C rimanendo lucidi e attivi!).
Mi sento di poter affermare che il punto critico dell'argomento è come sviluppare la consapevolezza di quanto è importante e quanto coinvolge ognuno di noi il problema dell'uomo a mare.
Di come necessariamente la soluzione può arrivare solamente impegnandosi direttamente e sulla propria barca, adesso, a mettere insieme procedure confrontate e correggibili a seguito di esercitazioni mirate.
Questo è il messaggio positivo che giustifica il lavoro che è stato intrapreso con questo 3d, dove è giusto parlare di una manovra di recupero di uomo a mare standardizzata consapevoli che è solo una parte del lavoro da fare.
Solo il confronto continuo fra le esperienze proprie, fatte sulla propria barca con il proprio equipaggio, ci garantisce la possibilità di aumentare la percentuale di successo in operazioni di recupero cui la sorte ci potrebbe mettere difronte.
Credo che si possa condividere che non esiste manovra anche sostenuta da letteratura ufficiale ne apparecchiature moderne e sofisticate che possano ottenere risultati paragonabili all'addestramento continuo e al desiderio di migliorare i propri standard di sicurezza personali e sulla propria barca.
Solo il lavoro che facciamo sulla nostra barca e il tempo che dedichiamo alle esercitazioni pratiche ci possono ripagare.
In questo senso credo sia bene valutare tutti gli elementi che contribuiscono a raggiungere lo scopo comprese:
- la prevenzione nel senso più ampio del termine (letteratura, preparazione alla navigazione, dispositivi di legatura, partecipazione a corsi vari)
- le apparecchiature più recenti di cui dotarsi (anulari, ferri di cavallo, aste, elettronica varia, luci, )
- addestramento dell'equipaggio (produzione di procedure e tempo dedicato alla loro presentazione prima di un'uscita)
- le procedure di ritorno sull'uomo più idonee alle diverse situazioni (disinserire il pilota, fermare la barca, accendere il motore, ammainare le vele),
- i protocolli di ricerca più affidabili nel caso l'uomo non sia più visibile,
- la necessità di lanciare un allarme (pan pan) se i primi tentativi non danno risultati in tempi stabiliti e le modalità per farlo,
- gli stratagemmi per sollevarlo dall'acqua e riportarlo a bordo (boma, drizze, scucchiaiamenti