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Le lamiere sono state tagliate ed assemblate in un cantiere navale di Livorno, che poi, per varie ragioni, tra le quali una grossa commessa navale, non ha proseguito nella costruzione, consegnandomi lo scafo finito, ma nudo.
Le saldature sono state fatte col sistema MIG: dopo una sommaria puntatura, per verificare gli allineamenti, sono state passate da dentro e ripassate da fuori.
I cordoni di saldatura sono stati spazzolati, ma non levigati né Flexati nemmeno in fase di verniciatura, per non indebolirne la struttura.
I rinforzi, le costolature (formate da piatto sagomato) e le piastrine d’aggancio, sono state saldate al guscio finito con il medesimo criterio.
Le parti maggiormente sottoposte ad usura, quelle dove la vernice avrebbe vita breve, sono riportate in acciaio inox.
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I candelieri con gli occhiòli per le draglie sono saldati alla coperta ed alla falchetta.
Tutte le strutture di coperta, es. le bitte, hanno un opportuno rinforzo strutturale all’interno.
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Trasportata la barca in un capannone amico, per prima cosa è stata eseguita la fusione del piombo in chiglia.
Per evitare che il piombo fuso schizzasse in giro è stata lentamente riscaldata la parte di scafo che doveva ricevere la fusione, poi con una specie di canaletta fatta di materiale refrattario è stato colato, direttamente dal crogiuolo di fusione, il piombo 99,9% per un totale di circa 800 chili. E’ stato lasciato raffreddare lentamente per 24 ore.
Il piano di fusione è stato sigillato con una lamiera saldata su tutti i bordi.
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Da qui in avanti per tutte le parti ed i particolari che sono stati aggiunti è stato usato acciaio inox Aisi 316.
Sono stati saldati, sempre col sistema MIG, i tronchetti filettati per le prese a mare, le piattabande forate per le attrezzature di coperta, i golfari, i passacavi (bocche di granchio), la pazienza, ecc.
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Il timone compensato.
Se fosse stato eseguito con una lastra unica di ferro, dello spessore di almeno 12/15 mm. avrebbe avuto un bel peso. Ho pensato quindi di realizzarlo con un tubo centrale in funzione di asse ed una struttura centinata e rivestita, con un risultato più leggero e con spinta idrostatica positiva a parziale sostegno del peso.
Come materiale ho usato acciaio inox: tubo per il bordo d’entrata, piatto per il bordo d’uscita, piatto per i profili e le centine, lamiera da 1,5 mm. per la pelle.
Stabilite le dimensioni e la sagoma, abbiamo tagliato le centine e le abbiamo assemblate puntandole sull’asse ed i bordi, stabilita la struttura l’abbiamo rivestita con la lamiera. Non avendo la possibilità di calandrare in sagoma preventivamente la lamiera, l’abbiamo saldata sul bordo d’entrata e poi portata in sagoma stringendola man mano con dei morsetti e puntandola sull’ossatura.
Un cordolo completo di saldatura ha completato la struttura. Poi una sommaria molatura ne ha ammorbidito il profilo.
Il medesimo procedimento è stato seguito per la realizzazione del trimmer.
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Gli snodi alla losca ed al calcagnolo sono stati realizzati con due flange che hanno il compito di reggere i pesi, nelle quali sono annegate due boccole tornite di bronzo al carbonio (bronzo marino) con la funzione di rendere morbida e durevole nel tempo la manovra.
Grande difficoltà abbiamo avuto nel saldare questi particolari perché, come ben sa chi è del mestiere, puntando e saldando i materiali si deformano, e questo non è il massimo per gli accoppiamenti meccanici.
Il collare di sostegno è smontabile per poter sfilare timone e asse, rimanendo le boccole superiori solidali con l’asse e le inferiori col calcagnolo.
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Il calcagnolo è stato ben rinforzato con fazzoletti, perché su di una barca a chiglia lunga è una delle strutture che risulta più esposta al tallonamento e all’appoggio.
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Il flettner è imbullonato al timone per poterlo facilmente smontare e togliere.
La trasmissione dell’impulso della pala a vento sul flettner e poi sul timone, avviene tramite due frenelli inguainati, tipo freno da bicicletta, che fanno capo ai due fori sulle alette saldate alla parte superiore del timone e comandano gli spostamenti del flettner che agisce direttamente sulla pala.
Sul lato destro dello specchio di poppa sono saldati quattro bulloni per fissare il supporto del motore fuoribordo.
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I fori di drenaggio del pozzetto, sono generosamente dimensionati, a garanzia di un rapido svuotamento.
La parte posteriore del pozzetto è un gavone, non stagno con chiusura a saracinesca, due golfari sul fondo del pozzetto ne assicurano la chiusura per mezzo di una sagola fatta passare nella maniglia.
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Due tronchetti passanti, ai lati della ghigliottina del tambuccio, permettono di governare dell’interno per mezzo di due frenelli che attestati sulla barra e che fanno via su due bozzelli fissati sul bordo del paramare ai lati del pozzetto.
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La ghigliottina del tambuccio è divisa in due sezioni, in quella superiore è ricavato un oblò che permette di vedere il timone.
Sullo scorrevole superiore che può scorrere, sollevarsi e ribaltarsi verso prua, è ricavato un foro che può servire per la classica cupola a semisfera, o per un grosso oblò per il controllo delle vele.
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Qui si raffrontano due scuole di pensiero: guardare avanti e intorno, senza riuscirci quasi mai (pioggia, incrostazioni di sale, condensa), o avere un grosso oblò dal quale vedere albero e vele, con una spatola da tergicristallo rotante che permette la pulizia esterna del trasparente (vedi disegno del particolare).
Dato il costo della cupolina che dovrà essere non di plexiglass da 6 mm., come quelle che si trovano in giro, ma di materiale più resistente (perspex) o di spessore maggiore, per il momento ho messo un plexiglass da sei.
Nel caso si preferisse la seconda soluzione, per permettere una visione, seppur limitata della prua, sul fronte anteriore della tuga è stato ricavato un oblò.
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Oblò.
In origine si era parlato di due dischi di perspex da 10 o 15 millimetri avvitati con interposta guarnizione di gomma siliconata, uno all’interno ed uno all’esterna della tuga.
Ho scartato questa ipotesi perché gli oblò sarebbero stati sempre appannati per la condensa, e facilmente sin dall’inizio opacizzati dell’ossidazione conseguente all’evaporazione del solvente del silicone.
Poi, fatti due calcoli, ho visto che un disco di perspex da 15 mm. su una sezione libera del diametro netto di 17 mm. avrebbe avuto una resistenza alla pressione superiore a quella della lamiera da 3 mm. di cui è fatta la tuga.
Conclusione ho messo, provvisoriamente e giusto perché la tuga sia stagna, dei dischi di plexiglass da 6 mm..
La tenuta, provvisoriamente, è realizzata per mezzo di un profilo di gomma con adesivo dalla parte del plexiglass, così da non intaccare la verniciatura, sotto la testa delle viti ho messo un o ring e sotto le ranelle delle viti una rondella di gomma.
Le viti sono da 6 MA x 25 mm. e sporgono molto all’interno, ma così permetteranno l’uso di un disco di spessore maggiore, e di un eventuale disco di lamiera come chiusura d’emergenza, senza doverle cambiare (sono 220 bulloni e dado, con 440 ranelle, francamente troppi).
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Sull’opera viva ci sono sei zinchi (anodi sacrificali) solidali con lo scafo per mezzo dei bulloni saldati.
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Per terminare l’esterno.
Nell’apposito bicchiere sulla prua è inserito il bompresso ed è previsto che una briglia in catena o cavo contrasti gli stralli.
Negli appositi bicchieri sullo specchio di poppa sono inseriti i buttafuori per il paranco della scotta di randa; è previsto che il corrente sia rimandato in pozzetto e che due briglie in catena o cavo contrastino il tiro del paranco sui buttafuori.
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Per l’aerazione degli interni sono state realizzate due maniche a vento di tipo Dorade, le cui scatole sono imbullonate a delle piastrine sulla tuga.
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La barra del timone è in teck massello, inserita nella sede del timone e fissata con un perno passante.
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Per le verniciature, sono stati usati prodotti della Boero.
Tutte le superfici, interne ed esterne sono state trattate nello stesso modo: prima lavate e poi sabbiate.
Zincate a freddo con epossidico, poi trattate con primer Delta 2000, e verniciate con tre mani di poliuretanica.
I colori si vedono dalle foto.
Sull’opera viva, a scopo preventivo e non sapendo se la barca sarebbe andata in acqua subito, sono state date due mani di antivegetativa (inutili perché la barca è sul piazzale del cantiere opportunamente coperta.
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Interni.
Non sapendo il futuro utilizzo del battello, né le esigenze dell’eventuale prossimo armatore, gli interni sono stati pensati e fatti con un indirizzo minimalista, lasciando ampia e facile possibilità di modifica, pur essendo immediatamente vivibili.
I materiali usati sono: compensato marino di mogano bordato in massello di mogano; verniciato con due mani di fondo e due mani di trasparente poliuretanica.
La ferramenta è in ottone cromato o in acciaio inox lucidato.
Tutti gli allestimenti interni, pur essendo saldamente fissati allo scafo, sono imbullonati e avvitati per un facile e semplice smontaggio
A prua c’è un ampio gavone con portello stagno (dopo aver messo sul bordo del coperchio un’adeguata guarnizione), tutto il resto è open space.
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Sui tronchetti filettati dei passascafo sono state provvisoriamente avvitate delle valvole a sfera, di acciaio inox 316, sigillate con teflon, e non con pasta, in modo da poter essere girate a gusto di chi le utilizzerà.
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Esse sono: presa e scarico lavandino, presa e scarico cesso, scarico in pozzetto della pompa di esaurimento della sentina (questa è l’unica valvola in ottone cromato perché, essendo 70 cm. sopra il galleggiamento non dà fenomeni di corrosione galvanica).
A prua, su di una pedana in laminato plastico, è alloggiato il cesso, ai lati del quale, a murata, sono previsti due tubi sagomati; imbullonati alle piastrine di supporto hanno una duplice funzione: tientibene per “le sedute” e supporto per rizzare contenitori ingombranti e/o sacchi delle vele.
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Proseguendo verso poppa.
A dritta scaffali, di cui uno chiuso, e fornello, che è solo un fuoco fisso con coperchio e non è basculante. C’è lo spazio e la possibilità di inserire un fuoco basculante, ma la scelta e l’utilizzo delle attrezzature fa parte delle credenze e/o delle abitudini; per questo io ci ho messo quello, ma libere e possibili tutte le altre soluzioni.
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A sinistra scaffali, di cui uno chiuso; sul piano è incassato il lavello con rubinetto, sotto alloggiata una pompa a pedale.
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I circuiti dell’acqua non sono installati, perché c’è la possibilità di collegare l’aspirazione o alla presa a mare o ad un serbatoio. Le alternative potrebbero essere: da serbatoio a rubinetto per caduta;
da serbatoio a rubinetto dalla pompa (by-pass per l’acqua di mare?);
montaggio di una seconda pompa, lo spazio c’è, per l’acqua dolce dal serbatoio;
montaggio della seconda pompa di cui sopra che alimenta un serbatoio di pochi litri, che serve il rubinetto per caduta, così da controllare i consumi, ecc.
Le spalle degli arredi sono fissate alle piastrine di rinforzo dello scafo per mezzo di bulloni passanti; abbiamo dovuto usare sacconi e spessori generosi perché le piastrine sono state saldate non dove servivano allo stipettaio, bensì dove le riteneva utili rinforzi il carpentiere.
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I paglioli sono dei semplici coperchi contornati da una cornice, in modo che, ad allestimento definito, si possano fissare con delle tavelle, per evitarne l’apertura accidentale.
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Sotto il pagliolo a centro barca, in corrispondenza della mastra, c’è un rinforzo quadrato dentro il quale sarà alloggiata la scassa dell’albero; questo coperchio sarà tagliato in due pezzi lasciando lo spazio per il passaggio dell’albero.
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Guardando verso poppa al centro della parete del pozzetto è stata fissata la valvola della pompa di esaurimento.
La scaletta è un reperto storico ripristinato, dopo il recupero da una vecchia barca d’epoca; si alza e si fissa al cielo della tuga perché è incernierata ad una tavola di teck, che s’inserisce con due piastre nei fermi ai lati del tambuccio.
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Gli allestimenti ai due lati del pozzetto sono simmetrici e così realizzati.
Una struttura di sostegno in travetti di mogano massello, ancorata ai supporti di ferro dello scafo, su cui sono avvitate le paratie verticali che separano i gavoni.
Su questo telaio sono avvitati i pannelli di chiusura dei gavoni, nei quali sono ricavati, in battuta, i coperchi delle chiusure superiori. Questi possono esser fissati con delle tavelle perché non si aprano accidentalmente. Le compartimentazioni impediscono ai piccoli oggetti d’infilarsi dove non dovrebbero.
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Come struttura di raccordo, tra la parte posteriore, adibita a cuccette, e gli scaffali laterali del quadrato, sono state costruite due panche i cui coperchi a doghe, incernierati alla struttura portante chiudono due gavoni. Un appoggio triangolare raccorda i coperchi a doghe ai coperchi delle cuccette. Sono vuoti sotto per permettere lo spazio ai piedi di chi si siede.
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Allego, alla rinfusa, ancora alcune foto di vari particolari.
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Alcune foto degli interni in lavorazione.
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E concludo aggiungendo che non ho la presunzione di aver presentato le soluzioni migliori, ciò che è stato realizzato è stato fatto così perché in quel momento ed in quella situazione l'ho ritenuta la cosa migliore.
Mi auguro che piaccia a qualcuno.