Cercando, si trova qualche dato in più e si capisce meglio quali erano (sono?) i dubbi che avevano originato le domande e le affermazioni di Sikander sull'autocostruzione.
Intanto, punto primo, la normativa consente di iscrivere nei registri delle unità da diporto anche le barche autocostruite, con una procedura semplificata, a patto però che le stesse non siano poi "immesse sul mercato" (che significa rivendute sul territorio dell'Unione Europea) per un periodo di 5 anni.
Se però la barca autocostruita è da subito marcata CE, allora può essere rivenduta a piacimento in qualsiasi momento.
Se viceversa non venisse più rivenduta, e quindi non sarà più "immessa sul mercato", allora nessun obbligo a marcarla CE anche in seguito (per come è strutturata la legislazione attuale).
Ciò era stato pensato per favorire da un lato l'autocostruzione, senza gravare con procedure troppo complesse chi la barca se la vuole fare da se, ma non dispone della struttura di un cantiere professionale, e nel contempo non generare uno squilibrio competitivo a danno dei cantieri nautici con una sorta di concorrenza sleale (poteva essere una scorciatoia utilizzabile per saltare tutte le procedure previste dalla regolare marcatura CE, con relativi costi e passaggi).
Punto secondo: se l'autocostruttore vuole rivendere la barca che ha costruito con la procedura semplificata, trascorsi almeno 5 anni dalla messa in servizio di quella barca, dovrà comunque provvedere a percorrere, a posteriori, la strada delle verifiche post-costruzione per la marcatura CE (strada che è comunque presente ed utilizzabile se un cittadino europeo si compra una barca all'estero, non marcata CE, e vuole importarla sul territorio dell'Unione, godendo di tutti i privilegi che una bandiera di un paese aderente al trattato gli da, e senza rinunciare alla rivendibilità in futuro, sul maggiore mercato mondiale).
La ratio è che la marcatura CE ha due funzioni principali:
1. assicurare ai costruttori la libera circolazione sul mercato comune europeo, senza che uno dei paesi aderenti possa creare surrettiziamente delle barriere od ostacoli alla libera circolazione di quei beni (coperti dalla direttina nautica) per favorire le proprie industrie,
2. stabilire degli standard di sicurezza a favore di qualsiasi utilizzatore di quei beni, che siano allo stato dell'arte nello specifico settore (nel nostro caso, la nautica da diporto), e rappresentare quindi una attestazione di qualità e sicurezza al top, responsabilizzando da un lato il costruttore (o meglio, personalmente il firmatario della Dichiarazione di Conformità), e dall'altro l'Organismo Notificato che assiste il costruttore sul percorso della marcatura CE: entrambi devono essere stabiliti sul territorio dell'Unione e devono esser identificati e rintracciabili.
Le norme sono state introdotte con questi criteri.
Come sempre, si tratta di un bilanciamento tra opposte esigenze, da un lato assicurare libera circolazione e la sicurezza, dall'altro non vessare inutilmente il singolo cittadino.
Si consideri anche che qui siamo in un ambito che vede aderire a percorsi comuni popoli con legislazioni, storie ed abitudini del tutto diverse, sensibilità spesso distanti tra loro. Si è mediato molto.
Ma siccome la sicurezza è il valore guida (e troppo spesso, nonostante tutti i buoni propositi, emergono falle su questo fronte che poi vengono turate con successivi interventi normativi man mano che si scoprono i furbi, i distratti, i profittatori, ecc...), almeno un controllo serio fatto da un soggetto terzo esperto e tecnicamente validato, sui prodotti da autocostruzione, lo vogliamo fare, oppure no?
Ecco, secondo me, un "controllo serio", da farsi almeno la prima volta, prima di dichiarare quell'oggetto utilizzabile con tutti i crismi al pari di qualsiasi altro costruito con "filtri di verifica e controllo" di ben altra portata, professionali e certificati, non si può ottenere con una giornatina di lavoro: questa è una illusione pericolosa.
Il solo esame della documentazione prodotta dal progettista, richiederà qualche giornata, per capire come è concepita la barca, che soluzioni ha adottato, i collegamenti, le strutture, gli impianti?
Andare poi a vedere il manufatto, misurare e controllare se disegni e progettazione sono stati rispettati, oppure se ci sono difformità, richiederà del tempo, o no?
Verificare impianti e loro funzionamento in sicurezza, chiede i giusti tempi o no?
Fare infine le prove pratiche previste, magari vedere che succede uscendo in mare, organizzare una verifica di stabilità, misurare e raccogliere i risultati, fare i calcoli conseguenti, "pesare" la barca, ecc..., porta via altro tempo, o no?
Come si può pensare che una barca da una dozzina di metri di lunghezza (ma potrebbe pure essere ben più grande: il buon Dudley Dix Yacht Design fornisce progetti anche da 21,35 m LOA e 47 tonnellate), sia dichiarata "abile ed arruolata" tra le fila degli oggetti sicuri ed usabili da chiunque, con un lavoro di verifica fatto da un professional abilitato ed esperto, per qualche centinaio di euro?
Saremmo disposti ad accettare, sul serio, che circolino unità del genere? Io qualche domanda me la pongo.
Ma non sono assolutamente un burocrate, non difendo posizioni di privilegio di nessuno, non credo nella proliferazione delle regole ad ogni costo, ecc...
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