Trovo su Facebook e di seguito riporto un' interessante articolo:
Le vele forate: una dimenticata innovazione della marineria mercantile velica italiana di fine ottocento
[Aldo Antonicelli]
Le “vele forate” entrate nell’uso della marina velica alla fine del XIX secolo sono un argomento poco o per nulla noto; ancora meno noto è il fatto che esse furono ideate da un marinaio italiano. Verso la metà del 1896, nel porto di Filadelfia destò una notevole curiosità tra i marinai e i frequentatori del porto l’arrivo del Salvatore Accame (vedi nota a piè di pagina), un brigantino a palo in legno italiano di 800 t di stazza dell’armatore Emilio Accame e figli. Benché le sue vele fossero visibilmente nuove, esse presentavano dei fori del diametro di 20 o 30 centimetri; la spiegazione che fu data era che i fori consentivano di aumentare l’efficienza delle vele e di conseguenza la velocità del bastimento. L’idea di forare le vele per migliorarne l’efficienza era stata presentata nel 1894 al Consiglio di Amministrazione dell’Associazione marittima di Genova dall’armatore e capitano mercantile Vassallo (probabilmente Gio Batta Vassallo, nato a Genova Quinto nel 1825; nel 1852 acquisì la patente di capitano di lungo corso). Il principio generale era che quando un volume d’aria investiva la vela, il primo strato rimbalzava all’indietro e di fianco, creando una contro pressione che riduceva la forza dello strato che lo seguiva, e così via. L’efficacia di ogni strato che seguiva era diminuita dalla forza che doveva esercitare per espellere lateralmente e inferiormente la massa d’aria rimbalzata. I fori praticati nelle vele facilitavano l’uscita della massa d’aria di rimbalzo, riducendo così la forza necessaria allo strato successivo per espellerla. Alla sua relazione Vassallo allegò una tabella nella quale aveva indicato le posizioni e le dimensioni dei fori più adatte per ogni tipo di vela, derivate dagli esperimenti che aveva effettuato. Nelle vele quadre si dovevano realizzare due fori di 20 o 30 cm a 1,5 o 2,5 metri di distanza dall’angolo di bugna. Nelle vele latine, auriche o di straglio era invece sufficiente un unico foro. Con le vele forate, nel corso di un viaggio da New York all’Australia un bastimento di Vassallo aveva raggiunto la velocità di 5 nodi con vento leggero, di 9 con vento medio e di 9,5 con vento forte, mentre con le vele normali non aveva superato i 6, 7 nodi con vento medio e 7,5 con vento forte. Il guadagno medio era stato di 2 nodi, ossia 45 miglia al giorno. Le vele forate si adattavano a bastimenti di ogni genere e dimensioni e ai diversi armi velici. Secondo gli articoli che furono pubblicati all’epoca, Vassallo brevettò la sua invenzione in Gran Bretagna e in Germania, e molti armatori italiani, spagnoli e britannici la adottarono. Un articolo pubblicato da un periodico italiano e ripreso da altre pubblicazioni francesi e britanniche, cita tra gli altri i bastimenti “’Antonio, ’Erasmina e Natività dell’armatore marsigliese Pendibesse” (in realtà secondo il “Registro italiano per la classificazione dei bastimenti” del 1886 i nomi degli armatori dei primi due erano rispettivamente E. Pendibene e E.G.B Pendibene, entrambi di Genova). In un breve articoletto, il periodico britannico “The Engineer” il 9 ottobre 1896 commentò che “paradossalmente la velocità di un veliero poteva essere incrementata perforandone le vele, come asseriva il capitano Vassallo” e concludeva con un alquanto scettico “Che Sara Sara”. Nonostante lo scetticismo del “The Engineer”, le vele forate conobbero in realtà una certa diffusione anche nella marineria britannica e furono utilizzate anche sui clipper. Nel 1897 il veliero britannico Andreta ne era dotata e il suo capitano all’arrivo a Portland nell’Oregon riferì che la nave aveva acquistato un nodo rispetto alle vele normali; le sue vele quadre avevano due fori e le vele di straglio uno. Basil Lubbock, il noto marinaio e scrittore britannico di inizio novecento, ne parla nel suo “Colonial Clippers” scritto nel 1921; le vele forate erano maggiormente utili nella navigazione di bolina stretta che in quella con vento di poppa, ma molti capitani dichiaravano che anche in quella condizione erano efficaci. Un vantaggio ulteriore era che i fori consentivano di “spillare” il vento quando si doveva imbrogliare o terzarolare una vela con vento forte, impedendo alla vela di gonfiarsi. Lubbock cita il capitano Holmes che le utilizzò sul clipper Cimba (varato nel 1878) e sul brigantino a palo Inverurie trovandole efficaci anche con venti leggeri; Holmes fece ripetuti esperimenti facendo tappare i fori con sacchi di tela cuciti alla vela per verificare la velocità risultante rispetto a quella ottenuta con i fori aperti e riscontrando così l’efficacia delle vele forate. Sempre Lubbock riporta che le vele forate furono usate sulla nave a palo Loch Torridon (varato nel 1881), l’Aristides (1876) e sul Port Jackson (1882).
NOTA: Il Salvatore Accame era un brigantino a palo in legno di proprietà della società armatrice Em. Accame e Figli ed era registrato nel porto di Genova. Era stato costruito nel 1878 dal cantiere di G. Calcagno di Sestri Ponente ed era lungo 53,84 m, largo 10,28 m ed aveva una altezza al puntale di 6,7 m; la stazza era di 800,16 t. Fonti: Lloyd’s Register e Registro italiano per la classificazione dei bastimenti.
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