Leggere che si conosce come le forme delle barche minori si è tramandata mi riempie sempre di speranza. Forse non siamo fatti per viver come bruti ma per conoscer virtude e cagnoscenza.
Il mezzo garbo è detto anche Sesto di San Giuseppe: nel periodo in cui compravo qualsiasi libro parlasse del naviglio minore in tutte le lingue e formati entrai in un libreria universitaria di Cagliari dove per fortuna non mi fermai all'affermazione della commessa che non avevano libri sul disegno delle barche ma andai al reparto sconsolato come sempre quando devo prendere atto che, pur trovandomi in una città di mare, è più facile ci si ricordi del nome dello stadio di calcio che non dell'imbarcazione tipica con la quale si va ancora a pesca sotto costa.
Mi trovai tra le mani un libretto stampato recentemente che prometteva bene: al centro otto tavole di barche minori. Speronara provenzale, Barca pilota di Marsiglia, Rafiau o Pointu, Gozzo e Barchetto Provenzale, Betta di Martigues e Cette, Tartana, Paranza provenzale e Barca Catalana. Di sicuro il RURIK non apparteneva a nessuna di queste categorie: i disegni erano datati tra la fine del 1700 e la fine del 1800.
Rimaneva il fatto che quello che secondo la commessa non dovevo trovare era una ristampa di un testo del 1897 nel quale l'ingegnere Vence riporta le note costruttive delle barche del mediterraneo censite per dimensioni e che ne definiva di conseguenza le sezioni e caratteristiche costruttive. Da li in avanti la collezione oggi include il Dixon e testi di barche da lavoro dell'Europa d'inizio 1900.
Ho avuto l'ardire di farmi spiegare da Mastri d'Ascia di oltre ottant'anni che cosa ottenevano dal mezzo scafo: era fatto di sezioni longitudinali (orizzontali rispetto al piano di coperta) altre meno di un centimetro. La mano erano gli occhi ed il calcolatore del progetto. Una volta le forme soddisfacevano con la capacità percettiva il mezzo veniva separato nelle sezioni orizzontali e misurato.
Il resto lo faceva l'esperienza.
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