Abeking & Rasmussen Concordia 39/41
JAVA e le sue sorelle. La nascita dei Concordia Yawls
(di Matteo Salamon)
Lunghezza fuori tutto: m. 12.13
Lunghezza al galleggiamento m. 8.68
Baglio massimo m. 3.11
Pescaggio m 1.72
Superficie velica mq. 57
Dislocamento kg. 8.164
Zavorra kg. 3.492
Uno e uno solo era il desiderio principe di Llewellyn Howland quando, nel 1938, insieme al figlio Waldo e al progettista C. Raymond Hunt, mise nero su bianco una serie di appunti che avrebbero costituito la base sulla quale la sua prossima barca avrebbe dovuto essere disegnata: doveva avere grande stabilità di forma.
Nel pensiero di Llewellyn la barca doveva poter correre al massimo della sua velocità teorica senza coricarsi troppo, e questo a tutte le andature. Non vi erano costrizioni dettate dai ratings, la sua doveva essere una barca da crociera pura, pensata principalmente per la navigazione nella Baia di Buzzards (aperta a sud ovest, alla base della penisola di Cape Cod), caratterizzata da vento a forti raffiche e mare corto e insidioso.
Llewellyn aveva bene impresso nella propria mente come dovevano essere le linee della barca, avendo tratto ispirazione da una scrupolosa osservazione fatta ben 45 anni prima, quando all’età di sedici anni, insieme ad un vecchio maestro d’ascia del Maine ebbe l’occasione di studiare, insieme ad altri, il modello di St. Esprit du Conquet, un vascello di 26 metri fuori tutto disegnato nel 1799 dal capitano Pierre Raynard, su commissione del ministro della Marina Francese. Con una barca costruita sul medesimo disegno il progettista aveva navigato a lungo nel pericoloso mare della Manica, sostanzialmente facendo il contrabbandiere. Questo veliero, proprio in virtù dello scopo illegale per il quale veniva utilizzato, doveva avere grandi doti velocistiche, e doveva tenere il mare in maniera eccellente.
Howland aveva ammirato estasiato quelle linee, anche e soprattutto dopo avere visto le prove in vasca del modello. Quando, dopo quarantacinque anni ebbe a commissionare una barca per sé (la sua precedente era stata colata a picco da un terribile uragano che nel 1938 colpì le coste americane), ne ricordò i concetti principali e li trasmise a suo figlio Waldo (esperto costruttore) e al progettista C. Raymond Hunt (noto anche per avere disegnato i famosi scafi a motore Boston Whaler).
Nacque così Java (che prese il nome da una fortunata lancia baleniera appartenuta al nonno di Llewellyn), ovviamente ben differente dall’antico scafo del contrabbandiere francese!
Java forse condivideva lo spirito marino del suo predecessore, più che le linee, queste sono piuttosto una espressione aggiornata di un vecchio disegno di Raymond Hunt, Cinderella.
Java venne costruita dal cantiere Casey, a Fairhaven, nel Massachussets, misurava m. 12,13 fuori tutto, 8,68 al galleggiamento, 3,11 di baglio massimo, 1,72 di immersione, con una superficie velica di mq. 57, stazza di kg. 8.164, dei quali 3.492 di zavorra esterna in ferro. Cavallino pronunciato. Il motore scelto fu un Gray (a benzina), un quattro cilindri erogante 25 cavalli, montato in linea d’asse, centrale, elica fissa a due pale. Lo scafo era costruito in maniera assai tradizionale, con un singolo corso fasciame in legno di mogano, su ordinate piegate a vapore in rovere (unico punto debole di questa barca e delle sue future co-sorelle), chiglia anch’essa in rovere, alberi e tangoni in legno cavo spruce, ponte e tuga ricoperti in tela impregnata. Gli interni erano classici, e ben difficilmente si poteva immaginare qualcosa di meglio o più confortevole su una barca classica di 12 metri: a prua del pozzetto con timone a barra, ben profondo e protetto, si trova il tambugio e la scaletta d’ingresso che porta sotto coperta, immediatamente a sinistra la cucina e in fronte ad essa il tavolo da carteggio, segue quindi il quadrato, con le famose “cuccette Concordia”, fatte con listelli di legno paralleli, con un particolare meccanismo a saracinesca, un brevetto che permette di utilizzare le cuccette senza il bisogno di montare teli anti-rollio, quando la barca naviga inclinata. Più oltre, verso prua, si trova il locale toilette, fronteggiato dall’armadio per le cerate, e quindi la classica cabina di prua con letti a “V”. Insomma, una barca assolutamente confortevole per quattro persone in crociera.
Ben presto Java attirò su di sé gli sguardi incuriositi degli yachtsmen, locali e non, che non tardarono a commissionare una barca sullo stesso disegno. Nacquero così nel cantiere di Waldo Howland le Concordia Yawls, sorelle del piccolo yawl. Oltre alle barche costruite in America, ve ne furono molte allestite in Europa, nel prestigioso cantiere Abeking & Rasmussen di Amburgo. In totale ne dovrebbero essere state costruite circa cento unità, e Raymond Hunt ebbe quindi l’opportunità di provare su molte di esse diversi tipi di armamento, differendo dal primo a yawl 7/8. Infatti non solo provò con lo sloop, ma anche con lo yawl in testa d’albero, provò ad aggiungere un piccolo bompresso, e addirittura (senza alcun successo…) con un catboat rig, albero portato alla prua estrema della barca armato con sola randa.
Nel tempo C. Raymond Hunt effettuò piccole variazioni al disegno originario, portandone la lunghezza fuori tutto a m. 12.49 (41 piedi), ma senza apportare modifiche sostanziali alle linee d’acqua, mantenendo così il suo primo disegno, ove si possono notare, studiando le sezioni, linee assai diritte nell’opera viva, quasi prive di catenaria, campanatura accentuata al baglio massimo dello scafo e asse del timone decisamente inclinato, per una maggior resa nelle andature di bolina. Le due prime caratteristiche di disegno dello scafo, sono quelle che conferiscono la grande stabilità di forma alla barca, la dote per la quale venne, ed è a tutt’oggi, apprezzata da tanti armatori.
Curiosamente nessuno ha mai pensato, come per esempio nel caso dei Luders Academy Yawls (cfr. Bolina n° 177, pag.41), di costruire le Concordia Yawls in fibra di vetro, pertanto ci si deve accontentare di quelle in legno, che sembrano essere per la maggior parte tutte naviganti e in buono stato, e solitamente se ne trova sempre qualcuna sul mercato delle barche usate. Le valutazioni di questi levrieri del mare si aggirano oggi tra i $80.000 e i $ 150.000, ovviamente variano a seconda dello stato di mantenimento e dell’anno.
Abbiamo detto che la barca non era stata pensata per regatare, ma ben sappiamo come molti armatori non sappiano resistere all’idea di portare la propria amata creatura in regata, e di poterla confrontare con altre barche. Naturalmente i proprietari delle Concordia Yawls non furono immuni da questa “malattia”, e quindi negli oltre 60 anni di storia si sono raccolte molte nozioni sul comportamento di questi velieri in regata. In buona sostanza si può affermare con serenità che le doti regatistiche sono eccellenti. Un Concordia, per esempio (Malay, la prima barca costruita dopo Java), vinse la durissima regata americana Bermuda Race nel 1954, nella propria classe, e addirittura una, Harrier (versione allungata a 41 piedi, di proprietà del suo progettista Raymond Hunt), furoreggiò oltre che in America anche in Inghilterra, dove letteralmente spiazzò l’egemonia anglosassone. Alla Cowes Race Week del 1955 la famiglia Hunt al completo, padre e madre con i quattro figli, due femmine (21 e 14 anni) e due maschi (18 e 16), vinse nella propria classe sei regate su sei! Gli inglesi furono così stupiti da tale vittoria che alla fine delle manifestazioni chiesero di misurare nuovamente la barca. Il risultato li gettò nello sconforto più totale, il rating dovette effettivamente essere cambiato: fu abbassato di un quarto di piede!
Matteo Salamon
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