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Questo sembrerebbe un normale cabinato come se ne vedono a migliaia sulle nostre coste senza alcuna velleità di farsi due bordi nei quaranta ruggenti durante una burrasca.
Non ha chiglia lunga, non ha skeg, non è in acciaio, l'albero sembra piuttosto esile e tipico da regata, ha la poppa stretta e slanci abbastanza pronunciati stile barche IOR (sulla cui idoneità ad affrontare il mare grosso sono stati sollevati i più svariati dubbi).
Eppure questa è la barca che vinse in tempo compensato la terribile regata Sydney-Hobart del 1998, bolinando contro onde frangenti di oltre 10 mt. e venti con punte di 75 nodi.
Inutile aggiungere che giunse a Hobart con il suo bulbo e il suo timone ancora perfettamente attaccati
Credo che i tempi e l'esperienza velica abbiano ormai dimostrato che certe classiche convinzioni tecniche non erano poi così fondate come si credeva, e il disastro in mare dipende spesso da fattori ben diversi rispetto alla progettazione, come può essere il difetto costruttivo, la scarsa manutenzione, l'incapacità dell'equipaggio e, perché no (?), anche la sfortuna di essere colpiti da quell'onda maledetta cui nessuna barca e nessun equipaggio avrebbe potuto resistere.
Ovviamente anche la progettazione può avere le sue colpe, ma credo che oggi l'esperienza sia tale che si tratti per lo più di rischi calcolati, come l'esasperata ricerca della leggerezza per aumentare le prestazioni o l'esigenza di costruire barche economiche destinate al mercato di massa.